sabato 13 settembre 2014
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«Dobbiamo fermarci e pensare un po’ al livello di crudeltà al quale siamo arrivati». Il volto di Francesco si è fatto teso quando, lunedì 18 agosto, a bordo dell’aereo papale che lo stava riportando da Seul a Roma, ha parla delle «sofferenze» e delle violenze che oggi affliggono il mondo. Ri­spondendo alle domande dei giornalisti, Bergoglio ha ricordato: «Qualcuno mi diceva: “Lei sa, Padre, che siamo nella terza Guerra mondiale, ma a pezzi?”. Ha capito? È un mondo in guerra, dove si compiono queste crudeltà». Ed è pro­prio questo aspetto, «il livello di crudeltà al quale siamo arrivati» a generare nuove preoccupazioni: «Non lo dico per fare paura: si può fare uno studio em­pirico. Il livello di crudeltà dell’umanità, in questo momento, fa piuttosto spa­ventare ». Basta sfogliare un atlante per trovare conferma delle parole del Pa­pa. Dall’Africa, al Medio Oriente, all’America Latina, la guerra dilaga. Non più, però, come contrapposizione frontale tra blocchi o eserciti, bensì come un po­liedro di crisi che si estendono a macchia di leopardo per il globo.Nelle varie zone calde, le cause storiche – ingiustizia strutturale, debolezza del potere centrale, assenza di democrazia, presenza di gruppi armati radicali – trovano la loro declinazione locale. Con effetti devastanti soprattutto per i ci­vili: i fronti della “Guerra mondiale a pezzi” sono le città. E la popolazione, suo malgrado, l’“arma” principale.Trasformata in scudo umano. O usata come car­ne da macello per terrorizzare il nemico e segnare il territorio. Al devastante costo umano, si somma quello economico: 9.800 miliardi, l’11,3% del Pil glo­bale. MESSICO È una guerra invisibile quella messicana: per il governo non esiste. Eppure il bilancio degli ultimi 7 anni è allarmante: oltre 120mila morti, 300mila sfollati interni, 30mila scomparsi. La crisi è iniziata nel 2006 quando l'allora presidente Felipe Calderón ha schierato l'esercito contro la criminalità. I signori della droga hanno risposto intenficiando la violenza contro lo Stato e fra loro. I massacri di civili da parte dei trafficanti sono diventati l'arma abituale per sottomettere i civili, che rappresentano la maggior parte degli uccisi. Attualmente, buona parte del Paese è sotto controllo dei trafficanti. La violenza ha devastato perfino la perla dei turisti: Acapulco. L'elezione dell'attuale leader, Enrique Peña Nieto non ha allentato la tensione. La "narco-guerra" continua. MALI L'instabiltà del Mali è uno degli "effetti collaterali" della caduta di Gheddafi in Libia. I miliziani tuareg, armati e addestrati dal dittatore, sono tornati in patria e, nell'aprile 2012, hanno strappato al goveno il Nord, ovvero il triangolo tra Timbuctu, Gao e Kidal. Due mesi dopo, però, i tuareg sono stati espulsi dai jihadisti. L'intervento francese è riuscito a riportare la zona sotto il controllo del governo ma la minaccia islamista è forte. GUATEMALA/ HONDURAS/SALVADOR A causa della pressione delle autorità, i boss messicani della droga hanno trasferito le basi in Centro America, dove i governi sono troppo fragili per affrontarli. Il risultato è un bagno di sangue: l'Honduras si è aggiudicato il macabro record di Paese più violento al mondo, con 79 omicidi ogni 100mila abitanti. Lo incalzano da vicino Guatemala e Salvador. La violenza ha prodotto un boom migratorio verso gli Usa. A partire sono soprattutto i minori, spinti dalle famiglie. Queste temono che siano reclutati dalle gang al soldo dei trafficanti. COLOMBIA Il conflitto più lungo dell'America Latina va avanti da oltre mezzo secolo. Iniziato come un'insurrezione contadina contro il latifondo, si è trasformato in uno scontro per il controllo delle immense risorse del Paese. In particolare droga e oro. Alla guerriglia marxista ben presto si sono aggiunti i paramilitari, finanziati dagli oligarchi. A farne le spese sono i civili: alle centinaia di migliaia di vittime si sommano 5 milioni di sfollati interni. Ora sono in corso negoziati tra il governo e la guerriglia per mettere fine alle ostilità. NIGERIA Da oltre 12 anni, gli islamisti di Boko Haram insanguinano il Paese con attacchi continui. Nel mirino, in particolare, le scuole - considerate strumento della propaganda occidentale -, le chiese e le strutture istituzionali. Fondata a Maiduguri, l'organizzazione è attiva nel Nord, negli Stati di Borno, Adamawa, Kaduna, Bauchi, Yobe e Kano. Boko Haram si propone di sottrarre questi ultimi al controllo del governo e di instaurare la sharia. Oltre quattro mesi fa, il gruppo ha rapito oltre 200 studentesse suscitando allarme globale. LIBIA La fine del regime di Gheddafi doveva aprire al Paese la via della democrazia. Ha invece precipitato la Libia nel caos. Una crisi che ha travolto anche la diplomazia Usa, con l'assalto nel 2012 a Bengasi costato la vita all'ambasciatore Chris Stevens. Oggi sul terreno si fronteggiano i miliziani di Zintan, affiancati dalle truppe del generale Haftar, e i guerriglieri di Misurata, sempre più vicini agli integralisti. UCRAINA La crisi ucraina va avanti ormai da nove mesi, quando sono iniziate le proteste contro l'ingerenza russa. Le manifestazioni hanno "costretto" il governo dell'alleato del Cremlino, Viktor Janukovich a lasciare. Il nuovo governo, guidato da Petro Poroshenko e insediato a febbraio, affronta ora la ribellione delle province filorusse nell'Est, che rivendicano l'indipendenza. L'epicentro della crisi è l'area di Lugansk, dove si sta combattendo casa per casa. SIRIA Doveva essere un'altra "Primavera araba". Le proteste contro il regime di Bashar al-Assad nel marzo 2011, sono invece sfociate nell'inverno della guerra civile. Una delle più cruente del pianeta, con un bilancio di 200mila morti e oltre due milioni di sfollati. Le forze di opposizione si sono ormai sfilacciate in una miriade di gruppi, spesso in lotta fra loro. A complicare lo scenario, la penetrazione dell'Isis che ha approfittato dell'instabilità per conquistare buona parte del Nord. AFGHANISTAN Le truppe internazionali della Coalizione Isaf lasceranno il Paese entro dicembre. Il Paese, però, è tutt'altro che pacificato. I ribelli taleban continuano con gli attacchi contro forze dell'ordine e civili. Nella sola zona di Helmand, negli ultimi due mesi, sono morte 900 persone. Entro settembre sono previsti i risultati del voto presidenziale. IRAN Il braccio di ferro sul nucleare iraniano va avanti, ormai, dal 2002, dopo che esponenti dell'opposizione hanno rivelato l'esistenza di due impianti sconosciuti. Nel 2003 e 2004, l'Europa ha cercato di mediare un accordo, la vittoria di Ahmadinejad produsse uno stallo. Sono iniziate, dunque, nuove trattative tra Teheran e i cosiddetti "5+1" (Washington, Mosca, Parigi, Londra, Pechino e Berlino). Con l'elezione di Rohani si sono fatti passi avanti quest'anno. Si negozia ora a Ginevra. Il 16 agosto, le parti hanno deciso di prolungare il dialogo di altri quattro mesi. COREE È la crisi, questa che contrappone le Coree tagliate in due dal 38esimo parallelo, che più fa paura nell'intera Asia. Primo perché se precipitasse in un vero e proprio conflitto, lo scontro verrebbe combattuto con armi nucleari. Secondo perché chiamerebbe in causa gli Usa da una parte - in soccorso del Sud - e la Cina - vero "tutor" politico della Corea del Nord - dall'altra. ISOLE CONTESE Da tempo ormai Cina e Giappone si trovano in uno stato di "guerra fredda". E sono le isole contese nel Mar cinese orientale l'oggetto del contendere. Le isole Senkaku (per i giapponesi) Diaoyu (per i cinesi) sono un gruppo di isole disabitate ricche di risorse naturali, soprattutto di gas. Il rischio più grande è che il massiccio dispiegamento militare intorno alle isole possa portare a uno scontro accidentale. E catastrofico. FILIPPINE Ci sono voluti 120 mila morti, quattro decenni di guerriglia e 17 anni di negoziati. L'accordo siglato lo scorso marzo tra il governo filippino e i ribelli del "Fronte islamico di liberazione Moro" ha portato alla creazione di una regione autonom per la minoranza musulmana nell'isola di Mindanao. Ma la pace è ancora lontana. Abu Sayyaf - che conta solo su poche centinaia di militanti, ma radicali - e altri tre gruppi islamici dissidenti continuano a seminare morte. PAKISTAN Il nord del Paese è l'"oasi" dei taleban in fuga dall'Afghanistan. Il che spinge il governo a proseguire l'offensiva contro i terroristi, con l'aiuto dei droni Usa. I raid, concentrati soprattutto nel Waziristan, provocano però anche migliaia di vittime civili ogni anno. Secondo un rapporto pubblicato dal Bureau of Investigative Journalism, per ogni miliziano colpito, vengono uccisi 5 civili. IRAQ La violenza settaria è riesplosa l'anno scorso, con le proteste dei sunniti contro il governo sciita di Nouri al-Maliki. Dell'insabilità ha approfittato l'Isis che, il 9 giugno, ha conquistato Mosul. Da allora, è iniziata la spirale repressiva. Gli jihadisti hanno proclamato il Califfato e imposto la sharia. In breve, si è scatenata la persecuzione contro le minoranze: a cristiani e sciiti è stato imposto di convertirsi o partire. Migliaia di yazidi sono stati massacrati. SOMALIA È uno stato di guerra permanente quello che caratterizza la fragile Somalia, dalla fine della dittatura di Siad Barre nel 1991. Un governo è riuscito a installarsi solo nel 2012 e cerca di far fronte all'offensiva dei qaedisti di al-Shabaab. Il gruppo, nato dopo la cacciata delle Corti islamiche da Mogadiscio nel 2007, ha acquisito con il terrore il controllo di vaste aree. Il 9 luglio, il Paese ha celebrato i primi tre anni di indipendenza dal Sudan. SUD SUDANIl Sud Sudan, il più giovane Stato del pianeta, ha ereditato dal passato una forte instabilità. L'ultima crisi è iniziata il 15 dicembre, con l'insurrezione guidata dal deposto vice, Riek Machar, contro il governo del presidente Salva Kiir. Nelle violenze sono morte almeno 10mila persone e gli sfollati sono oltre 250mila. L'accordo per il cessate il fuoco è stato raggiunto a gennaio. La violenza resta, però, latente. CENTRAFRICA La crisi, cronica, si è acuita nel marzo 2013 con il colpo di Stato contro il presidente Francois Bozizé. Al suo posto, è salito al potere, per la prima volta, un musulmano, Michel Djotodia, appoggiato dai miliziani Seleka. Questi ultimi hanno compiuto attacchi contro i cristiani. A dicembre, questi ultimi, si sono organizzati nelle milizie "anti-balaka". Lo scontro si è fatto feroce. A gennaio, è stato eletto un nuovo presidente, Catherine Samba- Panza. Ma la pace è ancora lontana. ISRAELE/PALESTINA L'ultimo capitolo del pluridecennale conflitto tra israeliani e palestinesi è iniziato l'8 luglio ed è ancora in corso. A provocare la nuova offensiva israeliana, è stato il rapimento di tre studenti vicino a Hebron, il 12 giugno. Inutile la caccia all'uomo scatenata da Tsahal: i corpi dei giovani vengono ritrovati il 30. Al lancio di missili da parte di Hamas - che nega ogni coinvolgimento nel sequestro -. Israele ha risposto con i raid su Gaza e poi con un'azione di terra.

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