mercoledì 12 giugno 2024
Hamas rilancia l'offerta di un accordo con nuove richieste. Ma per lo Stato ebraico equivale a un rifiuto
Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e il leader della Jihad islamica Ziyad al-Nakhalaj, discutono a Doha in Qatar prima di consegnare la risposta ai mediatori egiziani e qatarioti

Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e il leader della Jihad islamica Ziyad al-Nakhalaj, discutono a Doha in Qatar prima di consegnare la risposta ai mediatori egiziani e qatarioti - Reuters / Hamas media office

COMMENTA E CONDIVIDI

«È ora di smettere di mercanteggiare». Se dire il vero bastasse ad essere ascoltati, le parole del segretario di Stato americano Antony Blinken metterebbero fine alla guerra tra Hamas e Israele. Dodici giorni dopo l’annuncio del presidente Joe Biden di un’offerta di tregua, sulla quale già il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva fatto parecchi distinguo, è arrivata la risposta di Hamas. «Positiva» per l’organizzazione che comanda nella Striscia di Gaza. Ma «un rifiuto» nella lettura dello Stato ebraico. Il divario è «colmabile», insiste il capo della diplomazia americana, e gli Stati Uniti presenteranno proposte «concrete» per il dopoguerra entro poche settimane. Non tutte le richieste di Hamas sono «realizzabili», puntualizza Blinken, e «se una parte continua a cambiare le sue posizioni ti chiedi se proceda in buona fede». Da parte sua, Hamas ha accusato Blinken di essere «parte del problema, non la soluzione». Il premier del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, ha invocato una «soluzione permanente» e «giusta», con la creazione di uno Stato palestinese che viva «al fianco di Israele» in pace.

Nella sua risposta, all’esame dei mediatori di Egitto, Usa e Qatar, Hamas chiede garanzie sottoscritte da Washington «che confermino il cessate il fuoco, il ritiro dei militari, la ricostruzione di Gaza e lo scambio» tra ostaggi e detenuti. All’emittente egiziana al-Qahera, un alto funzionario dell’organizzazione ha detto: «La risposta apre la strada a un accordo. È responsabile, seria e positiva. La posizione dei media israeliani è invece un segno che si tenta di eludere gli obblighi». L’ufficio di Netanyahu non ha replicato, ma un funzionario ha dichiarato sotto anonimato che la controproposta di Hamas «cambia tutti i parametri principali e più significativi» ed equivale pertanto a un rifiuto.
Non è una novità che Israele punti a riportare a casa i 120 ostaggi, vivi e morti, senza mettere fine al conflitto. E che Hamas non rinunci a chiedere la cessazione permanente delle ostilità. «Le condizioni dell’accordo sono compatibili con il raggiungimento dei nostri obiettivi» è il réfrain a Gerusalemme. Se Netanyahu accettasse il ritiro delle truppe, l’estrema destra degli ultraortodossi, che ha 13 dei 63 parlamentari della maggioranza (sui 120 della Knesset), farebbe cadere il governo.
Raggiungere il cessate il fuoco a Gaza, ha detto Blinken parlando da Doha, sarebbe anche «il modo migliore per trovare una soluzione diplomatica tra Israele e Libano». Dopo l’uccisione in un raid di un importante comandante di Hezbollah, Taleb Sami Abdallah, raffiche di fuoco sono cadute a più riprese sul nord di Israele (da cui più di 80mila civili se ne sono dovuti andare dal 7 ottobre, vivendo come sfollati negli alberghi). Almeno 215 razzi, informa l’esercito. Non ci sono feriti, ma sono divampati nuovi incendi boschivi. Mentre un funzionario del gruppo terrorista sciita ha promesso che «l’intensità, la forza, la quantità e la qualità dei nostri attacchi aumenteranno».
Infiammato è anche il clima che si respira tra gli israeliani quando si accenna all’Onu. «Le sue azioni sono tutte al servizio di un programma politico ristretto contro Israele» ha tuonato da Ginevra l’ambasciatore alle Nazioni Unite, Eilon Shahar, riferendosi al rapporto della Commissione d’inchiesta indipendente istituita dal Consiglio Onu sui diritti umani per far luce su Gaza. Presieduta dal giurista sudafricano Navi Pillay, ne fanno parte i giuristi Miloon Kothari, indiano, e Chris Sidoti, australiano. Le conclusioni alle quali è pervenuta non sono diverse da quelle della procura della Corte penale internazionale dell'Aja: Hamas e Israele sarebbero entrambi imputabili di crimini di guerra e contro l'umanità, nonché di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.
Il rapporto denuncia «un attacco diffuso e sistematico diretto contro la popolazione civile di Gaza». «Abbiamo riscontrato – vi si legge – che sono stati commessi crimini contro l’umanità quali sterminio, omicidio, persecuzione di genere contro uomini e ragazzi palestinesi, trasferimento forzato, tortura e trattamenti inumani e crudeli». Il documento, di oltre 200 pagine, sarà presentato il 19 giugno al Consiglio per i diritti umani.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI