Allarme del Fondo monetario internazionale (Fmi). In un documento distribuito ai leader del G20, il Fondo avverte: senza un accordo in grado di produrre politiche anti-crisi coordinate, si rischiano di perdere 30 milioni di posti di lavoro e 4mila miliardi di produzione industriale nei prossimi cinque anni. Un allarme che arriva a poche ore di distanza dall'appello lanciato da Barack Obama che, poco prima di partire per Toronto, aveva esortato i leader del G20 ad agire in maniera coordinata sul fronte delle riforme finanziarie, della crescita economica e del rafforzamento dell'economia globale.«Abbiamo bisogno di agire in coordinamento per una semplice ragione - ha detto Obama -: questa crisi prova e gli eventi lo confermano che le economie nazionali sono inestricabilmente collegate. E una crisi economica in un posto può rapidamente propagarsi in un altro. Salguardare ognuna delle nostre nazioni può aiutare a proteggerle tutte».Il presidente americano ha poi affrontato le questioni interne, annunciando che «le riforme in cantiere al Congresso renderanno responsabile Wall Street e consentiranno di prevenire un'altra crisi finanziaria come quella da cui stiamo appena riprendendoci». Dopo 20 ore di fitte negoziazioni i parlamentari Usa hanno predisposto un testo che ora dovrà essere votato, prima alla Camera e la prossima settimana al Senato, consentendo ad Obama di ottenere un'importante vittoria politica in una fase difficile della sua presidenza.
IL DEBUTTO DI CAMERONNon nasconde lo scetticismo sull'utilità dei Grandi vertici - soprattutto sul G8 che rischia di soffrire di un problema di «credibilità» -, è determinato sulla linea dell'austerity e del risanamento dei conti come quella intrapresa dal suo governo. Così David Cameron debutta sulla scena internazionale, nei summit dei Grandi. Una "prima", quella del premier inglese, che lo vede impegnato nei primi faccia a faccia con i leader mondiali, dal bilaterale con il presidente Usa Barack Obama in programma domani a quello - svoltosi questa mattina - con il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. Ma il debutto di Cameron segna anche una rottura rispetto alla posizione della Gran Bretagna sulla scena internazionale. Noto infatti il suo scetticismo sull'utilità dei summit, il leader britannico non ha esitato a ribadire anche ieri che «raramente questi vertici si traducono in misure globali tangibili e reali». Un approccio che sembra segnare così una netta rottura con il passato, fa notare oggi anche il Wall Street Journal. Un passato che ha visto, prima Tony Blair, poi Gordon Brown, attori indiscussi della scena internazionale dando, spesso, a Londra il ruolo di protagonista nei vertici. Conservatore, Cameron pur affidando maggiore peso agli accordi bilaterali, soprattutto nel commercio, riconosce comunque al G20 un ruolo «nell'economia globale». Ma appare assai più scettico e distante dal formato a "otto".
PRIMA IL G8 E POI IL G20Week-end in doppia G. Prima il G8 e poi il G20. L'appuntamento è in Canada. Si comincia oggi con il G8 ad Huntsville. Stati Uniti, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Canada e Russia si focalizzeranno sul programma di lotta alla povertà (Millennium development goals) lanciato dall'Onu. Ma il piatto piange: mancano 18 miliardi di dollari per raggiungere l'obiettivo di 50 miliardi fissato nel G8 del 2005 a Gleenagles in Scozia. Piange soprattutto l'Africa a cui erano stati promessi 25 miliardi di dollari entro il 2010, ma per ora, secondo i dati Ocse, ne sono arrivati solo 11 miliardi. I ritardi degli otto grandi sono ancora più gravi dopo che la recessione ha aumentato i problemi dei più poveri tra i poveri. Il G20 inizierà domani a Toronto e si concentrerà sulla problematiche emerse dalla crisi economica: exit strategy dalla misure anticrisi, tassazione requisiti patrimoniali e regolamentazione delle banche, regolamentazione dei mercati finanziari e dei prodotti derivati, armonizzazione delle regole contabili. Temi impegnativi per i venti big del pianeta che rappresentano circa il 90% del Pil mondiale. Al momento il disaccordo è diffuso, si rischia il nulla di fatto.Sull'exit strategy profonda divergenza tra gli Usa, la maggiore economia del mondo, e la Germania, il numero uno dell'Eurozona. Il presidente Usa Barack Obama ha raccomandato alla cancelliera tedesca Angela Merkel di non stringere i cordoni della spesa pubblica fintanto che la ripresa economica non sia in grado di reggersi sulle proprie gambe.Berlino non ha raccolto l'invito, ha varato una manovra da 80 miliardi di euro per riportare in un triennio il rapporto decifit pubblico/pil sotto il 3%. La Merkel appare convinta che gli effetti depressivi della manovra finanziaria sulla domanda interna saranno più che compensati dalla crescita dell'export. Al treno del commercio estero si aggrappa anche l'Italia, il secondo paese manifatturiero dell'europa.Scenari realistici considerando i tassi di crescita dei paesi emergenti e il deciso deprezzamento dell'euro favorito dalla crisi del debito sovrano di alcuni paesi dell'Eurozona: Grecia,Portogallo, Irlanda e Spagna. Sulla crisi del debito sovrano l'Europa ha steso un cordone sanitario anti-contagio rappresentato dall'accordo per la creazione del Fondo di Stabilità europeo da 440 miliardi di euro destinati ai paesi con problemi di acceso al mercato internazionale dei capitali. Una decisione che ha rassicurato anche gli Usa preoccupati che una eventuale doppia recessione (double dip) in Europa incida anche sulla capacità di recupero dell'economia a stelle e strisce.
LE BANCHEPoi il piatto forte sulle banche. Germania, Francia e Gran Bretagna spingono per una tassa sugli attivi bancari che serva a finanziare le spese che i vari governi hanno affrontato per salvare dal fallimento diversi gruppi. Per alcuni osservatori si tratta di una deriva populista per addolcire manovre di risanamento dei conti pubblici a base di tasse e aumenti dell'età pensionabile. A sorpresa, il governo liberal-conservatore di David Cameron ha già deliberato sulla "tassa bancaria". Tra i favorevoli alla nuova gabella ci sono anche gli Stati Uniti e, più tiepidamente, l'Italia. La posizione del Bel Paese è comprensibile, in Italia nessun salvataggio bancario, ma solo un modesto intervento (meno di 5 miliardi di euro) per ripatrimonializzare alcuni gruppi bancari.
LE ONG: «TUTELARE LA SALUTE DELLE MAMME»Fare pressione sui governi per includere la pianificazione familiare tra i punti all'ordine del giorno del G8. È l'appello di 5 organizzazioni italiane al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, da oggi in Canada per il vertice dei grandi della terra. Secondo le ong Aidos, Amnesty International, Partnership for maternal newborn and Child health, Save the children e per la Società Italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) l'obiettivo Onu di sviluppo del Millennio sulla salute materna è quello più sottovalutato.Si stima che le complicazioni legate alla gravidanza costino la vita ogni anno a 350mila donne e che 14 milioni di adolescenti partoriscano ogni anno, il 90% nei Paesi in via di sviluppo. Per loro il rischio di decesso è doppio rispetto alle adulte. Per le organizzazioni firmatarie dell'appello la soluzione esiste: «Serve un impegno condiviso da parte dei singoli Stati per creare servizi di pianificazione familiare di qualità, economicamente sostenibili, accettabili e accessibili a tutti coloro che li necessitano e li desiderano». È per questo, si legge in una nota, che è necessario includere la salute mateno-infantile tra i punti all'ordine del giorno del vertice.