Il reverendo Al Sharpton con i parenti di George Floyd, tra i quali la figlia Gianna di 6 anni - Ansa
L'addio a George Floyd va in scena nella sua Houston, in Texas, dove accorrono in migliaia per l'ultimo saluto al "gigante buono", Big Floyd come lo chiamavano affettuosamente gli amici. Poi la sepoltura accanto alla madre, morta nel 2018: mamma Larcenia, da lui più volte invocata poco prima che le forze lo abbandonassero definitivamente, steso sul selciato e con un ginocchio sul collo che gli ha spezzato il respiro.
L'America intera segue la cerimonia funebre in diretta tv e sui social media, e per alcuni momenti la rabbia cede il passo alla commozione.
Ma un nuovo pugno allo stomaco arriva dall'ondata di video shock che oramai si moltiplicano sulle emittenti televisive e sul web, e che mostrano - se ce ne fosse ancora bisogno - come la brutalità e l'uso eccessivo della forza da parte della polizia sia davvero una piaga della più grande democrazia del mondo. E a farne le spese sono quasi sempre gli afroamericani come George, spia di un razzismo che ha radici profonde nella storia americana e mai veramente sopito.
Così le immagini riprese da una telecamera posta sul cruscotto di un'auto della polizia, in New Jersey, consegnano gli ultimi istanti di vita di un giovane afroamericano, Maurice Gordon, 28 anni, fermato da un agente per eccesso di velocità. Il ragazzo è disarmato, ma la situazione presto degenera e lui viene prima aggredito con lo spray urticante, poi crivellato di colpi, ben sei pallottole che lo uccidono sul posto. Il poliziotto è stato sospeso in attesa dei risultati delle indagini.
Neanche il tempo di girare canale che già la Cnn trasmette un'altra tragica sequenza: quella in cui, grazie alla bodycam di un poliziotto, si vede un uomo di 40 anni, Javier Ambler, anche lui afroamericano, mentre viene arrestato ad Austin, in Texas, per non essersi fermato all'alt della polizia. Dopo un inseguimento Ambler scende dall'auto disarmato e con le mani alzate, ma nel bloccarlo gli agenti premono sul suo collo, mentre l'uomo si sente implorare più volte «non riesco a respirare», proprio come George Floyd, come Eric Garner e tanti altri. Alla fine Ambler perde i sensi e muore prima dell'arrivo dei soccorsi. L'episodio risale al 28 marzo 2019, ma il video è stato diffuso dagli inquirenti solo nelle ultime ore.
Un momento dei funerali di George Floyd - Ansa
Così le lacrime, i singhiozzi e i canti gospel che si levano nella Fountain of Praise Church di Houston non sono solo per George, ma per tutte le vittime di una violenza cieca e insensata che spesso ha radici lontane, come sottolineato dal reverendo Al Sharpton a cui è stato affidato l'elogio funebre.
Ad ascoltarlo non solo familiari e amici di George, ma anche molte personalità, come la star della box mondiale Floyd Mayweather.
Mentre l'ex vicepresidente e candidato democratico alla Casa Bianca, Joe Biden, ha inviato per la cerimonia un videomessaggio, nel quale ha anche affermato che "in America è tempo per una giustizia razziale". "Gli Stati Uniti - ha detto Biden - non possono ancora una volta ignorare quel razzismo che continua a pungere la nostra anima, quell'abuso sistematico che rappresenta ancora una piaga in America". Biden ha quindi ricordato in particolare la figlia di George Floyd, Gianna, 6 anni: "Nessun bambino dovrebbe essere costretto a chiedere perchè il proprio padre se ne è andato. E troppi bambini afroamericani lo hanno dovuto chiedere per generazioni". Il giorno precedente Biden aveva incontrato in forma privata i familiari di Floyd.
"Qualcuno dice Make America Great Again, ma quando mai l'America è stata grande!": l'urlo di Brooke Williams, la giovanissima nipote di George Floyd, si leva nella The Fountain Praise Church di Houston, durante l'ultimo saluto all'uomo diventato ormai un simbolo della lotta al razzismo. Evidente nelle parole della ragazza il riferimento allo slogan simbolo del presidente Donald Trump. "Basta crimini d'odio, per favore, basta! Perchè il sistema deve essere così malvagio e corrotto, bisogna fare giustizia", ha aggiunto la giovane ricordando come nessuno degli agenti coinvolti nella morte dello zio ha mostrato segni di pentimento.
Intanto su Donald Trump si abbatte l'ennesima bufera per un tweet in cui insinua che l'anziano manifestante scaraventato a terra dai poliziotti a Buffalo sia in realtà «un provocatore antifascista», un facinoroso che voleva sabotare gli apparecchi radio degli agenti. «Se fosse tutta una montatura?», si chiede il presidente americano. Martin Gugino è ora fuori pericolo, ma le immagini del lago di sangue sul marciapiede dopo aver battuto violentemente la testa resteranno tra le immagini più forti di queste storiche giornate di protesta.