martedì 10 novembre 2020
Lo stile di Harris è forse la più grande differenza rispetto a Biden, che preferisce il compromesso. Contraria alla pena di morte, è però favorevole all’aborto e all’introduzione di un «terzo genere»
Kamala Harris

Kamala Harris - Reuters

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«Joe Biden e io siamo pronti a tenere il Covid-19 sotto controllo, siamo pronti a ricostruire la nostra economia. Siamo pronti ad affrontare le sfide della crisi climatica. Siamo pronti ad agire contro il razzismo sistemico. E siamo pronti a combattere per voi». Non esita a parlare direttamente all’America dell’agenda democratica la vice-presidente eletta degli Stati Uniti, Kamala Harris, in questi primi giorni di transizione che definiranno i ruoli al vertice della prossima Amministrazione americana.

Biden durante un dibattito con Donald Trump aveva assunto con forza il ruolo di leader («Io sono il partito democratico», aveva detto, e poi: «Sono stato alla Casa Bianca come vice, tornarsi come presidente sarà tutta un’altra cosa»), ma è chiaro fin d’ora che la sua numero due non si accontenterà di fare la comparsa, soprattutto quando non è d’accordo con il numero uno. L’avvocata californiana, di padre giamaicano e madre indo-americana, non è abituata a restare nell’ombra. Fin dal suo arrivo al Senato ha fatto parlare di sé criticando con forza le politiche di Trump in materia di immigrazione. E sono diventate virali le domande dirette con le quali ha messo alle strette nel corso di audizioni alla Camera alta il ministro alla Giustizia William Barr.

Il suo stile che non teme il conflitto è forse la più grande differenza rispetto al suo nuovo capo, che preferisce il compromesso e un progresso graduale nel lavoro legislativo e di governo. Quanto alle rispettive priorità, le differenze fra i due non sono molte, ma significative. Come Biden, l’ex procuratrice è contraria alla pena di morte e come lui ha promesso una riforma del sistema penale che eviti l’incarcerazione di massa, soprattutto di neri. Favorevole all’aborto come il suo capo, Harris si è spinta oltre Biden, appoggiando al Senato il Women’s Health Protection Act, una legge che costringerebbe i singoli Stati Usa a ottenere l’autorizzazione preventiva dal governo federale prima di implementare restrizioni all’aborto sul loro territorio. Negli ultimi anni i limiti legali all’interruzione di gravidanza sono proprio partiti dagli Stati, ai quali tornerebbe la responsabilità di gestire la questione se la Corte Suprema Usa invalidasse la sentenza Roe vs Wade che ha permesso l’aborto a livello federale.

Harris non ha mai espresso esplicitamente il suo sostegno all’aborto tardivo, nell’ultimo trimestre di gravidanza, ma non ha neanche mai sostenuto di essere contraria alla possibilità. A differenza del futuro presidente, Harris caldeggia l’introduzione di un “terzo genere”, oltre a maschile e femminile, sui documenti pubblici. In materia di sanità ha parlato di voler abolire del tutto le assicurazioni private in favore di una mutua pubblica, che Biden considera invece troppo costosa, preferendo un sistema ibrido. E si oppone all’estrazione del petrolio di scisto, intrappolato nelle rocce bituminose, che Biden invece difende, I due sono del tutto allineati sull’immigrazione.

Il profilo di Harris rappresenta, in parte, gli elettori democratici più a sinistra che avevano sognato l’autoproclamato «socialista» Bernie Sanders alla Casa Bianca, con i quali il prossimo presidente dovrà riconciliarsi se vuole evitare una fronda all’interno del suo partito. Le fratture e le tensioni tra le diverse anime dei liberal, messe per lo più da parte durante la campagna elettorale, stanno infatti tornando allo scoperto, con molti deputati e senatori democratici, non rieletti o rieletti per un soffio, che attaccano la sinistra per le esternazioni radicali che avrebbero causato la deludente performance elettorale sia alla Camera, che al Senato.

In questo senso la futura vicepresidente può rappresentare un punto di contatto fra l’anima più progressista e quella moderata, che rivendica il successo di Biden nel Midwest industriale, strappato nel 2016 da Trump ai democratici. Ma la strada è in salita: proprio ieri una delle esponenti più in vista dei progressisti, Alexandra Ocasio Cortez, ha definito «irresponsabile» da parte dell’ala moderata sostenere che i liberal stanno danneggiando il partito e ha avvertito: «Il periodo di transizione mostrerà se l’amministrazione Biden assumerà un approccio aperto e collaborativo o di esclusione con l’ala progressista».

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