lunedì 12 ottobre 2015
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Guerra e fame sono strettamente associati. L'Indice globale della fame 2015 (Global Hunger Index, GHI) presentato a Expo 2015 da Cesvi in collaborazione con Alliance2015, attesta che sono stati compiuti progressi riducendo la fame dal 2000 a oggi, ma che c'è ancora molto da fare. «Far cessare la fame nel mondo è alla nostra portata». A parlare così è Alex de Waal, direttore del World Peace Foundation e autore, insieme ad altri, del decimo GHI.Il dato inedito negli ultimi 50 anni è che sono comparse le carestie in grado di uccidere più di un milione di persone. «Perfino le guerre, grazie agli aiuti umanitari, non causano più le catastrofi alimentari del secolo scorso», dice Giangi Milesi, presidente Cesvi. Da 30 anni, Cesvi sceglie di essere al fianco delle popolazioni in fuga da guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani ed economie distrutte stabilendo un'unica priorità: il rispetto del principio umanitario. Dal 2000 a oggi, in particolare, c’è stato un progresso significativo nella lotta alla fame: l’indice mondiale è calato del 27% e ben 17 Paesi (tra cui Azerbaijan, Brasile, Croazia, Mongolia, Perù e Venezuela) hanno ridotto il proprio GHI del 50%. Ma il livello di malnutrizione «resta nel suo complesso inaccettabilmente alto»: i denutriti cronici sono quasi 800 milioni (1 persona su 9 al mondo), e più di un bambino su 4 è affetto da ritardo della crescita. I Paesi che hanno attraversato un conflitto e vissuto una forte instabilità politica, riportano il livello di fame più alto. «La comunità internazionale deve mettere in cima alla lista delle priorità politiche la prevenzione, la mitigazione e la risoluzione dei conflitti» è l’appello lanciato dagli attori internazionali a Expo Milano 2015. E «se non affrontiamo le cause che generano i conflitti, i progressi per ridurre la fame non dureranno». Lo sguardo è al 2030: gli Obiettivi di sviluppo sostenibile prevedono l’impegno di porre fine alla fame e alla povertà entro quindici anni. La strada è lunga, ma «la storia ci ha mostrato che la fame non è un esito inevitabile dei conflitti».
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