sabato 8 marzo 2025
L'isola, appartenente alla Danimarca ma rivendicata dal presidente degli Stati Uniti, Trump l'11 marzo va alle urne per il rinnovo del Parlamento locale. Ed è una tornata di grande importanza
La Groenlandia rinnova il suo Parlamento

La Groenlandia rinnova il suo Parlamento - ICP

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Urne aperte, martedì, in Groenladia. Il rinnovo del Parlamento locale, l’Inatsisartut, non è mai stato di così grande interesse. Dall’esito del voto dipende il futuro dell’isola di ghiaccio, territorio autonomo della Danimarca, che il presidente statunitense Donald Trump è determinato a prendersi «in un modo o nell’altro». Nella campagna elettorale in corso non ci sono riferimenti espliciti all’eventualità di un “passaggio di proprietà” da Copenaghen a Washington. Gli slogan lanciati a destra e sinistra rilanciano, con toni pure simili, un solo messaggio: «Non siamo in vendita, vogliamo l’indipendenza». O, per lo meno, più autonomia.

Per Trump, la Groenlandia è un’ossessione sin dai tempi del suo primo mandato alla Casa Bianca. La posizione dell’isola a 800 chilometri dal Polo Nord è strategica sia da un punto di vista militare che commerciale: crocevia delle nuove rotte che si stanno aprendo nell’Artico, sia a est che a ovest, con lo scioglimento dei ghiacci polari causato dal riscaldamento globale. Le grandi potenze concorrenti degli Usa stanno facendo a gara per intestarsene la gestione: in prima linea, Russia, Cina e India. Ciò che fa particolarmente gola al tycoon repubblicano è l’abbondanza dei giacimenti sotterranei del Paese: poco sfruttati perché a lungo nascosti sotto coltri di ghiaccio spesse fino a 3mila metri. L’isola è ricca non solo di idrocarburi – gas, petrolio e carbone – ma anche di metalli (compresi oro e argento) e terre rare, i ricercatissimi minerali (come neodimio, praseodimio, disprosio, terbio, ittrio ed europio) utilizzati nella fabbricazione di numerose applicazioni tecnologiche. La capitale Nuuk è in sostanza diventata snodo strategico del Grande Gioco polare. L’indipendenza è il cavallo di battaglia sia di Inuit Ataqatigiit, il partito socialdemocratico dell’attuale premier, Múte Egede, sia di Naleraq, il primo gruppo di opposizione. Le posizioni differiscono appena sulla velocità con cui negoziare l’addio alla corona e indire un referendum. Quattro o 10 anni? I dirigenti di Siumut, partito della coalizione di governo, sono determinati a convocarne uno già il mese prossimo.

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