Uno scatto diffuso dal governo salvadoregno mostra i presunti esponenti delle maras ammassati in carcere durante l'emergenza Covid
Qualche mese dopo l’arresto, X – 30enne che deve restare anonimo per ragioni di sicurezza – è tornato a casa in una bara, con vistosi segni di strangolamento sul collo. Lo stesso è accaduto al 42enne Y, il nome è celato per la stessa ragione. Il cadavere di Z, invece, 32 anni compiuti da poco, presentava segni di gravi contusioni sul torace e ferite al collo e alla testa. Eppure le autorità di El Salvador insistono: i tre sono morti cause naturali. Proprio come gli altri 150 detenuti deceduti nelle prigioni del piccolo Paese centroamericano tra il 27 marzo 2022 e il 27 marzo 2023, primo anno dello stato di emergenza dichiarato dal presidente Nayib Bukele e tuttora in corso. Per Cristosal, principale organizzazione nazionale per la tutela dei diritti umani, a ucciderli sono state le torture perpetrate dai carcerieri. «La violenza sistematica è diventata politica di Stato», denuncia il direttore Noah Bullock.
Dal marzo 2022 è in corso una vera e propria caccia all'uomo - Reuters
L’accusa si basa su centinaia di interviste a ex reclusi rilasciati dopo mesi in quanto innocenti e familiari di quelli che invece sono morti dietro le sbarre, nonché su rapporti medici, documenti della polizia e foto. E conclude che almeno 29 dei 153 decessi avvenuti in cella in 365 giorni di regime di eccezione sono stati provocati dagli abusi. Per altri 46 esiste il fondato sospetto mentre per 39 è stato impossibile determinare la causa. La cifra, dunque, potrebbe rivelarsi ben più alta. E non include quanti – quattro, secondo il governo, ma non ci sono verifiche – sono stati sepolti in fosse comuni. O si sono spenti per malattie non curate. Lo studio poi riporta centinaia di testimonianze di torturati nei modi più crudeli: dalle scariche elettriche, ai pestaggi, ai finti strangolamenti e annegamenti. Un decalogo degli orrori a cui non si assisteva dalla fine della guerra civile, nel 1992.
Finora oltre 68mila persone sono state arrestate - Reuters
Nonostante lo choc, però, la maggioranza della popolazione continua a sostenere il pugno di ferro di Bukele nei confronti delle “maras”, le bande che negli ultimi decenni hanno tenuto in ostaggio i quartieri poveri di San Salvador e del resto del Paese. Dopo un intento di negoziato fallito, il governo ha sospeso le garanzie costituzionali e scatenato una vera e propria offensiva contro le gang che ha portato all’arresto di oltre 68mila persone: il maggior tasso rispetto agli abitanti, 6,3 milioni. Nessuno sa quanti di questi siano realmente esponenti delle maras. Le organizzazioni e i media che hanno denunciato la “caccia” sono state accusate di difendere i criminali e molte hanno dovuto chiudere. «Viviamo in un regime del terrore», ha detto il cardinale Gregorio Rosa Chávez, storico collaboratore di San Oscar Arnulfo Romero.