Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte (Ansa)
In seconda votazione, la Camera ha approvato il provvedimento che impone il carcere fin dai 9 anni di età, per reati gravi. Tocca ora al Senato, la cui approvazione è scontata.
Sotto la pressione del presidente Rodrigo Duterte, le Filippine vanno verso un abbassamento dell’età della custodia penale per i minori (attualmente 15 anni), ignorando le critiche che sono anche della Chiesa cattolica. Lunedì scorso, il Comitato Giustizia della Camera ha dato il via libera all’esame della legge che imporrà la «reclusione obbligatoria» su bambini tra 9 e 14 anni che si rendessero colpevoli di omicidio e reati di droga. Un provvedimento che ha il sostegno di varie personalità politiche e che, come ha sottolineato il presidente del comitato, Salvador Leachon, è indirizzato a «tutelare i nostri bambini dal rischio di sfruttamento da parte di gruppi criminali spietati e senza scrupoli».
Su un percorso parallelo ma meno agevole per le maggiori resistenze in quest’aula parlamentare, è da tempo in transito al Senato un’altra legge che - se approvata - abbasserebbe l’età minima di responsabilità penale a 12 anni. Allo stato attuale, è quasi scontato che Duterte riuscirà a imporre la propria volontà, che giustifica con la necessità di frenare la partecipazione di minori al traffico di stupefacenti.
Un’estensione della sua “guerra alla droga” che è costata migliaia di vittime, in maggioranza dovute a esecuzioni extragiudiziarie, e che ha portato in carcere un numero enorme di individui, senza distinzione o tutela per i minorenni.
A preoccupare gli oppositori, non è solo l’accanimento con cui il presidente persegue da oltre due anni una politica che non sembra avere comunque fermato la tossicodipendenza estesa soprattutto tra i gruppi meno favoriti di una popolazione al 20 per cento sotto la soglia di povertà, ma anche le condizioni di detenzione. Già ora, infatti, i centri di custodia sono sovraffollati oltre ogni limite (in alcuni casi oltre il 2.000 per cento degli ospiti previsti) e i riformatori sono a tutti gli effetti poco meno congestionati e privi di strutture riabilitative delle prigioni per adulti.
Un’altra critica ai provvedimenti in elaborazione riguarda l’appartenenza sociale dei giovani coinvolti. Come hanno chiaramente indicato organizzazioni come Unicef e Save the Children, l’iniziativa colpirebbe anzitutto chi già ora è costretto a cooperare con la malavita per pura sopravvivenza o per evitare conseguenze alla famiglia.