«La conferenza sul clima delle Nazioni Unite è l’occasione per esigere una risposta all’altezza degli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi. Perché i leader politici, imprenditoriali e sociali spieghino cosa pensano di fare, quando e come, e fino a dove sono disposti ad arrivare per mantenere gli impegni assunti. Bisogna accelerare un’azione più ambiziosa, per l’ambiente e l’equità sociale, due facce della stessa medaglia ». La ministra ad interim per la Transizione ecologica, Teresa Ribera, anticipa ad Avvenire che al vertice Cop25 «non saranno annunciati nuovi limiti quantitativi di emissioni ». «Ma questo – aggiunge – non sarà la scusa per non rivedere al rialzo quelli precedenti, insufficienti».
La Spagna ha organizzato la conferenza in tempo record...
Sarebbe stata una pessima notizia per la comunità internazionale sospenderla, mentre cresce la pressione pubblica sui governi per soluzioni urgenti al cambio climatico, e gli Stati Uniti hanno annunciato l’uscita dagli Accordi di Parigi. Il premier Sánchez ha reagito subito all’annuncio del presidente Piñera sull’impossibilità di tenerla a Santiago, per la grave situazione nel Paese. Faremo da anfitrioni, mantenendo la presidenza cilena, per riaffermare il multilateralismo come unico strumento per rispondere alle sfide globali.
Le inondazioni a Venezia e in Europa, gli incendi negli Usa e in Amazzonia, i Poli che si sciolgono: siamo a un punto di non ritorno?
Gli effetti dell’emergenza climatica sono indiscutibili: non fa che aumentare le disuguaglianze, ha provocato migliaia di morti, perdite economiche che superano i 300mila miliardi di dollari, secondo l’Oms. Anche l’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite evidenzia lo scarto fra gli obiettivi di limitare il riscaldamento globale a 1,5 - 2 gradi di temperatura media rispetto ai livelli preindustriali e i dati che indicano che andiamo verso un aumento di 3,2 gradi. Non si può restare tranquilli per le presenti e future generazioni.
Ci sono margini di speranza?
È positivo che per la prima volta un continente col peso dell’Europa abbia posto l’ambiente come priorità fra le Top five del programma pluriennale. È sufficiente? Vedremo. È convincente? Dipenderà dalle azioni. Ma è un segnale importante, come lo è che la Banca europea di investimenti dovrà porsi sul serio la questione su cosa significhi investire in attività che generano più problemi che soluzioni.
A Madrid ci sarà l’esordio di Ursula von der Leyen sulla scena globale: cosa si attende?
C’è l’impegno di arrivare al Consiglio Europeo del 12 e 13 dicembre con un accordo per dichiarare la neutralità climatica d’Europa nel 2050. È una buona notizia che il primo contatto con il mondo delle nuove istituzioni europee riguardi il Green new deal. Ma mi piace citare l’economista Mariana Mazzucato quando afferma che il difficile non è il «green» né il «new», bensì il «deal», arrivare ai consensi per un’azione comune. Sarà difficile raggiungere gli obiettivi se la Ue lascia l’esecuzione delle sue decisioni al 2050.
Anche se rispettate, le promesse di riduzione delle emissioni finora avanzate non bastano…
Non bisogna darsi per vinti. «È tempo di agire», slogan della conferenza, significa che il 2020 segna una fase nuova di implementazione dell’agenda di Parigi, in cui è fondamentale mobilitare tutte le risorse, coinvolgere gli attori politici, economici e sociali nella governance, assicurarsi che le misure vadano tutte nella giusta direzione. Non è indifferente che le grandi economie restino in silenzio, perché la non azione interessa il futuro di tutti. Si tratta di trasformare le basi del nostro modello economico e di sviluppo, c’è un aspetto di redistribuzione finora non tenuto in giusto conto. Bisogna essere flessibili, ma non ingenui, rispetto alla resistenza al cambio per interesse o per paura.