I diplomatici, si sa, nel luogo comune sono coloro che sanno dire le cose peggiori nel modo più cortese; che sanno indicare la destinazione più scomoda in maniera così suadente da tentare l’interlocutore al viaggio. Oppure, brutalmente, che, di fronte al cane che ringhia, dicono «bella bestia» fino a che hanno trovato un sasso abbastanza grosso. Insomma, devono andare al punto salvando le forme. Chiamati a pronunciarsi sulle persecuzioni delle minoranze cristiane, i ministri degli Esteri della Ue la forma l’avevano sicuramente salvata. Il punto, però, si era perso.Il Consiglio dei capi delle diplomazie dei Ventisette, malgrado gli auspici dell’Europarlamento, non è riuscito a varare un documento in cui si prendano di petto le violenze contro i cristiani finiti nel mirino nelle ultime settimane da Alessandria d’Egitto all’Iraq fino al Pakistan. Il testo, limato parola per parola su indicazione dei singoli Paesi, era ispirato a un approccio «di diritti umani universali», in cui si manifestava un lodevole «impegno dell’Unione alla promozione e alla protezione della libertà di religione e di credo», ma nel quale non si andava oltre la «profonda preoccupazione e la condanna per i recenti atti di terrorismo contro luoghi di culto e pellegrini». La contrarietà di Italia e Francia a un pronunciamento così annacquato ha consigliato un rinvio, quantunque imbarazzato, se non umiliante per tutti. A episodi specifici non si faceva minimo cenno; il riferimento sarebbe stato implicito, facevano sapere le delegazioni che volevano impedire di menzionare specificamente gli attacchi ai copti o gli omicidi mirati compiuti a Baghdad. Soltanto l’Italia ha insistito perché la parola 'cristiani' fosse citata esplicitamente, scontrandosi con il muro eretto dalla gran parte degli altri ministri. Perché quel tabù, viene da chiedersi per l’ennesima volta? Non si tratta di inserire la verità delle radici cristiane nella 'laica' Costituzione del Continente, e nessuno può sostenere che si sta reclamando un qualche privilegio. La realtà è terribile e inequivocabile: siamo davanti a gruppi minacciati nella loro stessa sopravvivenza, costretti nelle catacombe, forzati a lasciare la propria terra, impossibilitati a esercitare quel diritto che appunto si vuole "universale"'.E l’impegno contro l’intolleranza, oltre che generico, nel documento rimaneva vago, legato com’era alle iniziative di monitoraggio dell’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Lady Ashton, che finora non si è distinta per incisività né per determinazione in questo ambito cruciale della sua missione. In sintesi, il Consiglio si apprestava a proferire un timido invito che non avrebbe conquistato nemmeno poche righe in cronaca se non, come in questa sede, per raccogliere la delusione di chi sperava che l’Europa potesse infine battere un colpo forte e chiaro.Non c’è soltanto un motivo ideale che spingerebbe a schierarsi dalla parte dei cristiani perseguitati, spesso unici portatori di una visione autenticamente liberale e democratica nei propri Paesi – quella che la Ue ha come ispirazione fondamentale. La difesa della libertà di religione, magari con lo strumento ventilato della modulazione degli aiuti economici, affermerebbe anche una capacità politica dell’Unione, la cui insignificanza sullo scacchiere internazionale sembra acuirsi quando le crisi si fanno roventi, come sta accadendo in queste settimane con le rivolte sulla sponda africana del Mediterraneo.Chi è nel mirino dei fondamentalisti forse non s’attendeva da Bruxelles niente di più. Noi che dell’Europa vorremmo essere orgogliosi cittadini, sì, ci eravamo illusi che si cominciasse a prendere sul serio una tragedia che dovrebbe allertare tutte le coscienze e mobilitare l’opinione pubblica dei Paesi democratici. Grazie all’impegno di Roma e Parigi, aspettiamo ora, con esile fiducia, i tempi supplementari.