martedì 1 febbraio 2011
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I diplomatici, si sa, nel luogo comune sono co­loro che sanno dire le cose peggiori nel modo più cortese; che sanno indicare la destinazione più scomoda in maniera così suadente da tenta­re l’interlocutore al viaggio. Oppure, brutalmen­te, che, di fronte al cane che ringhia, dicono «bel­la bestia» fino a che hanno trovato un sasso ab­bastanza grosso. Insomma, devono andare al punto salvando le forme. Chiamati a pronun­ciarsi sulle persecuzioni delle minoranze cristia­ne, i ministri degli Esteri della Ue la forma l’ave­vano sicuramente salvata. Il punto, però, si era perso.Il Consiglio dei capi delle diplomazie dei Venti­sette, malgrado gli auspici dell’Europarlamento, non è riuscito a varare un documento in cui si prendano di petto le violenze contro i cristiani fi­niti nel mirino nelle ultime settimane da Ales­sandria d’Egitto all’Iraq fino al Pakistan. Il testo, limato parola per parola su indicazione dei sin­goli Paesi, era ispirato a un approccio «di diritti umani universali», in cui si manifestava un lode­vole «impegno dell’Unione alla promozione e al­la protezione della libertà di religione e di credo», ma nel quale non si andava oltre la «profonda preoccupazione e la condanna per i recenti atti di terrorismo contro luoghi di culto e pellegrini». La contrarietà di Italia e Francia a un pronuncia­mento così annacquato ha consigliato un rinvio, quantunque imbarazzato, se non umiliante per tutti. A episodi specifici non si faceva minimo cenno; il riferimento sarebbe stato implicito, fa­cevano sapere le delegazioni che volevano im­pedire di menzionare specificamente gli attac­chi ai copti o gli omicidi mirati compiuti a Bagh­dad. Soltanto l’Italia ha insistito perché la paro­la 'cristiani' fosse citata esplicitamente, scon­trandosi con il muro eretto dalla gran parte degli altri ministri. Perché quel tabù, viene da chie­dersi per l’ennesima volta? Non si tratta di inse­rire la verità delle radici cristiane nella 'laica' Co­stituzione del Continente, e nessuno può soste­nere che si sta reclamando un qualche privile­gio. La realtà è terribile e inequivocabile: siamo davanti a gruppi minacciati nella loro stessa so­pravvivenza, costretti nelle catacombe, forzati a lasciare la propria terra, impossibilitati a eserci­tare quel diritto che appunto si vuole "universa­le"'.E l’impegno contro l’intolleranza, oltre che ge­nerico, nel documento rimaneva vago, legato com’era alle iniziative di monitoraggio dell’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Lady Ashton, che finora non si è distinta per in­cisività né per determinazione in questo ambito cruciale della sua missione. In sintesi, il Consiglio si apprestava a proferire un timido invito che non avrebbe conquistato nemmeno poche righe in cronaca se non, come in questa sede, per racco­gliere la delusione di chi sperava che l’Europa po­tesse infine battere un colpo forte e chiaro.Non c’è soltanto un motivo ideale che spinge­rebbe a schierarsi dalla parte dei cristiani perse­guitati, spesso unici portatori di una visione au­tenticamente liberale e democratica nei propri Paesi – quella che la Ue ha come ispirazione fon­damentale. La difesa della libertà di religione, magari con lo strumento ventilato della modu­lazione degli aiuti economici, affermerebbe an­che una capacità politica dell’Unione, la cui in­significanza sullo scacchiere internazionale sem­bra acuirsi quando le crisi si fanno roventi, come sta accadendo in queste settimane con le rivolte sulla sponda africana del Mediterraneo.Chi è nel mirino dei fondamentalisti forse non s’attendeva da Bruxelles niente di più. Noi che dell’Europa vorremmo essere orgogliosi cittadi­ni, sì, ci eravamo illusi che si cominciasse a pren­dere sul serio una tragedia che dovrebbe allerta­re tutte le coscienze e mobilitare l’opinione pub­blica dei Paesi democratici. Grazie all’impegno di Roma e Parigi, aspettiamo ora, con esile fiducia, i tempi supplementari.
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