Una donna accende una candela nella chiesa della santa croce a Damasco - Ansa
Quando, quasi per gioco, un gruppetto di ragazzini scrisse su un muro di Daraa: «Dottore, il prossimo sei tu», nessuno pensava che il più inossidabile dei regimi mediorientali sarebbe stato destabilizzato. Fu la scintilla di un terremoto geopolitico che ha colpito inesorabilmente pure l’antica comunità cristiana in Siria. Il processo di pace – indicato dalla risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza – è «a un punto morto», ha constatato amaramente il cardinale Mario Zenari. Il nunzio apostolico a Damasco, intervistato da "Vatican News", ricorda l’intervento del 9 febbraio al palazzo di Vetro dell’inviato speciale Onu per la Siria: è ora più che mai necessaria «una diplomazia internazionale costruttiva sulla Siria, sia per il proseguimento della riforma costituzionale, sia per il processo di pace in genere».
La Siria di oggi rispetto a 10 anni fa, ha aggiunto il nunzio apostolico, ha il volto di un Paese sfigurato «dove mancano diverse categorie di persone: i morti del conflitto ammontano a circa mezzo milione; 5,5 milioni sono i rifugiati siriani nei Paesi vicini; altri 6 milioni vagano, talora a più riprese, da un villaggio all’altro come sfollati interni. Manca, inoltre, circa un milione di persone emigrate. Mancano i giovani, l’avvenire del Paese». E «manca più della metà dei cristiani» passati da 1 milione 200mila a, si stima 550mila. Un Paese dove ora «mancano i papà, e talvolta anche le mamme, per tanti bambini», mancano scuole, ospedali, personale medico per l’emergenza Covid-19. Mancano fabbriche e attività produttive. «Sono spariti interi villaggi e quartieri, rasi al suolo e spopolati. È stato dilapidato il celebre patrimonio archeologico, che attirava visitatori da ogni parte del mondo. È stato intaccato gravemente il tessuto sociale, ossia il mosaico di convivenza esemplare tra gruppi etnici e religiosi». E se in «diverse regioni della Siria, da un po’ di tempo non cadono più bombe», è scoppiata «la bomba della povertà», aggiunge Zenari che ricorda come il 90% della popolazione vive – dato peggiore al mondo – sotto la soglia della povertà. Con la lira siriana super svalutata e la mancanza di lavoro «la gente chiama questa fase del conflitto guerra economica», conclude il nunzio apostolico. Sono 12,4 milioni – secondo l’ultimo rapporto disponibile sul sito di Caritas Italiana – le persone che non riescono a coprire i propri bisogni alimentari, di cui 1,3 milioni in grave insicurezza alimentare. Un numero mai raggiunto in precedenza.
Restare in Siria, dopo 10 anni di guerra civile, per i cristiani che la abitano da quasi due millenni, è una a dir poco coraggiosa: «Ringraziamo tutte le famiglie che sono rimaste, pur rispettando e comprendendo chi, per proteggere la propria famiglia, ha scelto l’esilio. E ora siamo in una guerra economica», afferma monsignor Youanna Jihad Battha. «La Siria è la porta dell’Oriente. Dopo dieci anni speriamo nella pace e nella stabilità, nell’apertura di tutti i corridoi, anche di quelli diplomatici», conclude il vescovo di rito siro antiocheno di Damasco.
«Non si vede una via di uscita da questa crisi, la nostra è una sofferenza che dura da dieci anni, per quanti anni ancora continuerà?», si domanda padre Ibrahim Alsabagh, parroco di Aleppo. Una crisi che, come una piovra, colpisce la vita di ogni famiglia: «Una madre, che ha la fortuna di avere un lavoro, mi ha detto che dopo aver incassato il salario, è andata con sua figlia per comperarle delle scarpe, le uniche scarpe che sua figlia aveva non potevano più essere usate. Il prezzo di un nuovo paio di scarpe era i tre quarti del suo salario. In preda alla tristezza, sono tornate a casa senza niente». Il francescano potrebbe raccontare decine di episodi simili: «Non è per una motivazione banale che molte delle nostre donne sono cadute in depressione e soffrono di palpitazione cardiaca» mentre «un gran numero di padri di famiglia che si sono suicidati dalla disperazione». La chiesa, come durante l’assedio – conclude il parroco di Aleppo – cerca di sostenere la popolazione. Ma una soluzione, dieci anni dopo, è ancora lontana per i cristiani e per tutti i cittadini siriani.