Esercitazione delle forze militari ucraine - Reuters / Ufficio stampa Esercito dell'Ucraina
I fantasmi di Kiev li riconosci dall’andatura. È il Donbass fuori dal Donbass. Sono più di 700mila e vagano da sfollati interni nella periferia postsovietica, spesso aggrappati a stampelle scorticate. Sono i superstiti del tiro incrociato, oppure fatti a brandelli dalle mine che hanno trasformato il confine orientale in una gelida Cambogia. Anche loro provano a scappare. Tutti cercano una via di fuga, in Ucraina.
Anche quelli che restano in casa, con la tv accesa per trovare risposte sui giochi ambigui di Putin. I portavoce del presidente aprono a ipotesi di negoziato. Lui scandisce ultimatum. Un altro civile perde la vita nella regione contesa, dove insieme alle colonne moscovite sono tornati a piovere anche i razzi. E Pavlo Kovaltchouk, portavoce delle Forze armate ucraine, comunica la morte di un militare, il ferimento di altri sei nella regione di Lugansk.
È stata una giornata ad alto volume, quella di ieri. La Russia ha registrato i confini amministrativi delle due Repubbliche separatiste. Lo ha spiegato ai giornalisti il presidente Putin in persona. «Ciò significa – ha detto – che abbiamo riconosciuto i loro documenti fondamentali, compresa la Costituzione. E i confini stabiliti nella Costituzione delle regioni di Donetsk e Lugansk sono quelli di quando facevano ancora parte dell’Ucraina». Non solo le aree controllate dai secessionisti, ma anche i territori del Donbass ancora non strappati a Kiev. Di ora in ora zar Vladimir alza la posta, in attesa che Kiev si pronunci sulle tre condizioni poste da Mosca: ritirare la richiesta di adesione alla Nato, smilitarizzare il Paese e riconoscere l’annessione della Crimea alla Russia. I continui bluff costringono le cancellerie internazionali a stare in guardia. Poi la frenata: «Non ho detto che dopo questa conferenza stampa vedremo la presenza delle forze russe nelle Repubbliche di Donetsk e Lugansk», butta lì Putin. Mostrando però, ancora una volta, la lama del pugnale: «È impossibile prevedere scenari, dipenderà dalla situazione sul terreno».
La dura condizione degli sfollati interni - Reuters-Ocha / Yevhen / Maloleka
Non è un caso che a Kiev le ambasciate rimaste aperte, tra cui quella italiana, abbiano approntato piani straordinari di evacuazione per i connazionali, se da un momento all’altro la situazione precipitasse. È quello che la Nato dice che potrebbe accadere. Timori che non hanno fatto cambiare le abitudini di vita ai quasi tre milioni di abitanti della capitale, assai scettici quando si parla di attacco imminente. Il ministero degli Esteri russo ha annunciato che il personale diplomatico a Kiev, massicciamente protetto ieri dall’esercito ucraino che ha tenuto a bada alcune decine di manifestanti, verrà evacuato in tempi brevi.
Dopo l’ingresso delle truppe russe nel Donbass (il numero non è stato precisato), definito da Putin come «azione di peacekeeping», mutuando e per certi versi irridendo il vocabolario adoperato dall’Alleanza Atlantica per giustificare gli interventi militari degli ultimi vent’anni, la Nato dice di aspettarsi che dall’occupazione si passi all’invasione. Per questo, annuncia il Segretario generale Jens Stoltenberg, «teniamo in allerta alta circa 100 aerei e 120 navi», nel momento definito come «il più pericoloso per la sicurezza europea da generazioni».
La dura condizione degli sfollati interni - Reuters-Ocha / Yevhen / Maloleka
Oggi nella capitale dell’Ucraina il presidente Volodymyr Zelensky riceverà il presidente lituano Gitanas Nauseda e il polacco Andrzej Duda. Non a caso due dei Paesi più preoccupati ed esposti alle mosse di Mosca. Poco prima che Vladimir Putin ribadisse le sue condizioni, Zelensky ancora una volta aveva ripetuto che «non ci sarà nessuna guerra contro l’Ucraina» e «nessuna ampia escalation». Parole che non escludono prolungati scambi di colpi circoscritti al Donbass.
Allo stato, Russia e Ucraina sembrano voler tenere le posizioni. Nonostante i combattimenti ininterrotti dal 2014, Kiev appare rassegnata all’idea di dover cedere sovranità nelle aree contese. Putin non ha chiuso la porta all’ipotesi di nuovi colloqui. A un suo portavoce fa dire che la richiesta del presidente ucraino di organizzare un summit del Quartetto di Normandia (Russia, Ucraina, Francia, Germania) «dipenderà dai particolari delle proposte». «Ogni contatto al vertice, anche urgente, deve essere preparato», aggiunge Dimitrij Peskov, premettendo che «qualsiasi dialogo condotto ad alto livello, di lavoro o di esperti, sarebbe il benvenuto».
Lo sperano soprattutto i civili del Donbass. Se quasi 70mila sono stati trasferiti oltre confine in territorio russo, oltre 1,6 milioni, secondo le agenzie Onu, vivono in condizione di pericolo e necessità lungo la “Linea di contatto”, la zona cuscinetto stabilita con il protocollo di Minsk siglato da Kiev, Mosca e separatisti nel 2014 (e che ieri Putin ha liquidato come «sorpassato»). Scarseggia perfino l’acqua. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa a Donetsk è alle prese con una grave carenza causata dagli scontri che hanno messo fuori servizio diverse stazioni idriche.
Ma la guerra colpisce anche quando nessuno spara. Le mine e i residui di esplosivi hanno rappresentato circa il 53% di tutte le vittime civili nel 2021. Il 40% si deve invece alle azioni di combattimento diretto. Dal momento del cessate il fuoco annunciato nel 2014 ci sono stati almeno 20mila morti.
Sei sono stati uccisi negli ultimi due giorni. «Non si vedevano Grad da molto tempo», riferisce ad Avvenire un testimone accusando le forze filorusse. Accertare le responsabilità non è facile, e persino gli osservatori Osce vengono ostacolati da Kiev quando chiedono di esaminare di persona gli edifici bombardati. Di certo c’è che si spara da una parte e dall’altra.
Vìtali, faccia stanca ed espressione rassegnata, sa che quello che è accaduto a lui capiterà ad altri. Continua ad allenarsi a usare le stampelle, in attesa che gli arrivi una protesi che sostituisca la gamba destra. Stava guidando fuori dal suo villaggio, quando l’auto ha centrato una mina ed è saltata in aria. Come lui ci sono decine di migliaia di sfollati interni, mentre alcuni team di psicologi stanno raggiungendo le famiglie con bambini traumatizzati dalle esplosioni che si avvicinano alle case. Quando ormai i nostri contatti nel Donbass ci inviano le immagini di altre esplosioni. La guerra da qui non se ne è mai davvero andata. E i malconci fantasmi di Kiev non credono che nuove sanzioni possano fermare le bombe.