Il cardinale Zen - Reuters
Dopo l’attesa prolungatasi di qualche giorno per il contagio da Covid del giudice, ieri il cardinale Joseph Zen si è presentato nel tribunale di West Kowloon a Hong Kong insieme a altri cinque imputati per la gestione del Fondo per l’Aiuto umanitario 612 (già bloccato nel 2021) utilizzato per finanziare le spese mediche e legali degli attivisti democratici arrestati nel corso delle dure proteste del 2019.
L’anziano porporato, 90 anni, vescovo emerito dell’ex colonia britannica, è arrivato in aula sostenendosi con un bastone da passeggio per partecipare all’udienza trascorsa ad esaminare questioni procedurali e la richiesta, accolta dai giudici, di sequestrare i 70 milioni di dollari di Hong Kong equivalenti a 9,2 milioni di euro al cambio attuale ancora depositati nel fondo dell’Ong.
Nonostante che l’arresto l’11 maggio scorso seguito dal rilascio sia stato motivato dalla presunta «collusione con forze straniere» in base all’articolo 29 della Legge per la sicurezza nazionale che ha bloccato di fatto ogni iniziativa di protesta e ha visto a un’ondata di procedimenti giudiziari contro individui noti per il loro atteggiamento critico verso il potere politico, il cardinale si trova a giudizio per un reato assai meno grave.
È infatti coinvolto, insieme all’attivista e cantante Denise Ho, all’avvocatessa Margaret Ng, all’accademico Hui Po-Keung e l’attivista Sze Ching-wee in un procedimento che potrebbe anche trascinarsi a lungo. Tutti chiamati in causa – come pure la co-fondatrice del Partito laburista Cyd Ho, già in carcere per assemblea illegale – per presunte irregolarità nella gestione del fondo. Gli accusati hanno negato ogni addebito, ma se ritenuti colpevoli potrebbero essere chiamati a pagare una multa equivalente a 1.300 euro.
Tuttavia, più che l’entità della pena in caso di condanna, a richiamare l’attenzione è la loro notorietà. Nonostante l’età e il ritiro dall’attività pastorale, lo stesso cardinale Zen gode ancora di notorietà per il costante sostegno al movimento democratico. Da tempo la Santa Sede ha segnalato preoccupazione per la sua vicenda legale, assicurando di «seguire molto da vicino l’evolversi della situazione».