sabato 15 dicembre 2018
L’organizzazione Claas ha chiesto un nuovo giudizio all’Alta Corte provinciale di Rawalpindi: il giudice avrebbe applicato la legge in modo «approssimativo»
Blasfemia, due fratelli cristiani condannati a morte nel Punjab
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Accusati di avere postato sul loro sito Internet materiale considerato blasfemo, venerdì due fratelli cristiani sono stati condannati a morte in Pakistan per il reato di blasfemia. Alla fine dell’udienza, che per ragioni di sicurezza si è tenuta all’interno del carcere distrettuale di Jhelum, nella provincia del Punjab, il giudice Javed Iqbal Bosal ha sentenziato per Qasir e Amoon la pena capitale.
Entrambi i condannati, sposati e il primo padre di tre figli, erano riusciti a lasciare il Pakistan dopo che nel 2011 erano emerse le accuse nei loro confronti. Erano stati arrestati al loro rientro in patria nel 2014 e rinviati a giudizio secondo gli articoli 295-A, B e C del Codice penale, collettivamente noti come “legge antiblasfemia”.

L’organizzazione Claas (Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement) che ha garantito assistenza legale ai due battezzati ha deciso di chiedere un nuovo giudizio all’Alta Corte provinciale nella sede di Rawalpindi ritenendo che il giudice abbia applicato la legge in modo approssimativo. A conferma della tesi che l’organizzazione sostiene da tempo che i giudici siano sottoposti a pressioni che li spingono ad applicare con troppa facilità pene estreme verso i presunti colpevoli di blasfemia.

Una situazione che Nasir Saeed, coordinatore di Claas nel Regno Unito conferma: «Le minacce degli estremisti costringono i tribunali di grado inferiore a concedere una giustizia sommaria, chiamando in causa corti di grado più elevato per giudizi che possono durare anche anni prima di una sentenza».

Si tratta di qualcosa già visto in diversi casi a partire, ricorda Saeed, «da quello di Asia Bibi, condannata in primo grado e solo dopo quasi dieci anni arrivata a ottenere giustizia dalla Corte Suprema. Temo che Qasir e Amoon possano subire la stessa sorte».

Se quella di Asia Bibi è una vicenda-limite per durata e problematicità – al punto che a sei settimane dall’assoluzione la donna cattolica vive ancora sotto protezione e le viene negato l’espatrio per sé e per la famiglia – un altro cristiano, Sawan Masih, è in attesa di una sentenza dei giudici supremi a quattro anni dalla prima condanna a morte e a cinque dall’arresto. A parte le specificità dei vari casi, resta aperto il dibattito sulla legislazione che, nata per tutelare l’onore e i fondamenti della fede islamica, consente accuse infamanti sovente dovute a dissapori, gelosie o interessi in cui la religione non ha alcun ruolo se non pretestuoso.

Ogni tentativo di emendare la legge o anche solo di aprire un dibattito sulla questione è andato incontro a intimidazioni, minacce e alla fine a un blocco e, per quanti ne hanno fatto un impegno nel segno del rispetto della Costituzione e dei fondamenti dello Stato pachistano, anche ritorsioni letali. Come successo a poche settimane di distanza nel 2011 al musulmano governatore del Punjab, Salman Taseer e al cattolico ministro per le Minoranze religiose, Shahbaz Bhatti.

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