domenica 20 ottobre 2024
La Georgia, patria della Cnn, ha visto la fine della candidatura del presidente uscente. E oggi potrebbe voltare la faccia a Kamala. Ma la percentuale degli indecisi continua a crescere
I due contendenti alla Casa Bianca

I due contendenti alla Casa Bianca - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

Domanda: la politica, gli ideali, la difesa della democrazia. Cosa peserà nel voto? Risposta: «Alla fine si voterà contando i soldi che rimangono in tasca…».

Benvenuti ad Atlanta, città delle leggi razziali Jim Crow, della Coca Cola, della Delta Airlines, della Cnn, del gigante postale Ups, di Spike Lee, di Julia Roberts, teatro dell’umiliante confronto televisivo che ha sancito l’impresentabilità di Joe Biden dopo la débâcle di fronte a The Donald. Un tempo la capitale della Georgia era un fortilizio democratico, culla del ricordo delle battaglie civili. Ora però il consenso dem si sta sgretolando, i bianchi scappano nei sobborghi, i farmer e i latinos premiano Trump e la città di Via col vento di Margaret Mitchell, del grande rogo del generale Sherman, di Martin Luther King e della sua Ebenezer Baptist Church a Sweet Auburn, del primo sindaco nero Maynard Jackson rischia di trasformarsi nella Alamo di Kamala Harris.

Cos’è accaduto? Con deprecabile ritardo, alla fine anche i dem l’hanno visto. Stiamo parlando di quell’elefante nella cristalleria che non si poteva più ignorare e che il New York Times ha ribattezzato “misogynoir, ircocervo” che sta per misoginia dell’uomo nero, l’atavica riluttanza dell’elettore afroamericano a sostenere e affidarsi a una donna che ambisca a posizioni di potere. E Kamala Harris è una donna, oltre che candidata alla presidenza degli Stati Uniti. L’illusione di una rimonta clamorosa è durata lo spazio di un mattino. «Ora contano solo i soldi», dice Linda Falcão dell’Atlanta Inquirer. «I donatori di Kamala Harris hanno raggiunto in poche settimane la cifra monstre di un miliardo di dollari. Un miliardo, hai presente? Più di quello che hanno messo in campo i sostenitori di Trump, compreso Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo. Ma forse è tardi».

Ma possiamo ancora chiamarla democrazia? La domanda non ha bisogno di risposta: « La politica in America – scrive Luca Ciarrocca su Wall Street Cina - è letteralmente comprata, manipolata dal denaro, niente di più e niente di meno. Quest’anno per eleggere il presidente e i membri del Congresso in scadenza, la spesa totale raggiungerà quasi 16 miliardi di dollari. Il che farà del 2024 l’elezione federale più costosa della storia».

È vero. Come è vero che tutto ruota attorno a quel bottino di delegati che può fare (e forse farà) la differenza. La Georgia dispone di 16 grandi elettori, uno più del Michigan, uno meno dell’Ohio. L’ultima volta Joe Biden l’ha strappata a Donald Trump per soli 11mila voti. Un’inezia. Un’inezia che la Harris sta cercando di aggirare come può, forte della proposta di un piano-casa da 3 milioni di case a prezzo abbordabile e crediti fiscali a chi intende comprare la propria abitazione. Fatto non secondario, all’ultima elezione Trump ha raddoppiato il proprio consenso sui maschi neri: dal 6 al 12%. Percentuali che possono voler dire molto. Ora Kamala dovrà vedersela con questa emorragia di voti. Si badi, nella downtown di Atlanta i dem non hanno mai avuto rivali: una specie di ztl adagiata su quel “southern comfort” che – per lo meno per le classi agiate - per più di un secolo ha fatto degli Stati del sud un piccolo paradiso.

Ma il consenso si è gradualmente eroso. Qui, fra gli scintillanti palazzi e i magnifici quartieri residenziali immersi nel verde Kamala può ancora contare sul 78% dei consensi, ma all’epoca Obama raccoglieva il 90% e Hillary il 92%. « Ma Atlanta come è noto non basta – commenta Giancarlo Pirrone, da vent’anni residente nella capitale georgiana e grande osservatore e analista della politica amerida cana nella Bible Belt –: L’America ha dimostrato in passato di possedere una coscienza – oggi, ahimè, silenziosa. Una sostanziale porzione dell’elettorato, stimata al di sopra del 50%, si trova in una posizione centralista che in questo momento non è rappresentata da nessuno dei due partiti».

Kamala e Trump sembrano quasi alla pari. «Vero. I cosiddetti swingers, gli indecisi e gli insoddisfatti, sono arrivati a percentuali altissime. I liberali e i pacifisti, un tempo rappresentati dall’incorruttibile Bernie Sanders, sono rimasti nauseati dalla doppia faccia dell’amministrazione Biden che da un lato si fregia di rappresentare gli interessi dei meno abbienti e dall’altro continua ad elargire fondi ad Israele per perpetrare l’eccidio su Gaza e a dare campo d’azione libero alle famigerate assicurazioni e alle grandi case farmaceutiche, che sono a tutti gli effetti una forma occulta di governo. Non meravigliamoci allora se la spocchiosa snob Kamala Harris più vicina ai bianchi che ai neri per- consensi a vista d’occhio». Pirrone non ha torto. La convention di Chicago è stata l’apoteosi del familismo dem, una cerimonia dominata dai clan, i Clinton, gli Obama, e dai corpi intermedi, Nancy Pelosi, John Kerry, Al Gore. Insomma, la high society dell’asinello. Qualcuno, motteggiando la Camelot dei Kennedy, la chiama «Kamalot».

Ma davvero Trump riesce a sedurre anche l’elettorato nero? «Due secoli prima che Donald Trump si affacciasse all’orizzonte, Alexis de Tocqueville aveva già capito tutto dell’America: qui conta ancora il culto della personalità e The Donald lo interpreta alla perfezione». Un lampo di inquietudine attraversa lo sguardo ancor nitido dell’ambasciatore Earle Scarlett, giamaicano, una trentennale carriera diplomatica che lo ha visto in Cina, Somalia, Bosnia, Brasile, Filippine per concludere il proprio cursus honorum al Dipartimento di Stato e nelle università americane. «Qualche giorno fa – dice - al Georgia Congress Center di Atlanta ho visto Trump ammaliare una folla di duemila persone con una serie di banalità sconnesse che sfidavano qualsiasi logica. Saltando da qui a là, ha ostentato il suo narcisismo, vantandosi del suo acume negli affari e delle sue capacità di leadership. La diatriba iperbolica è andata oltre i limiti della decenza. Ma a differenza di molti non l’ho trovato comico, ma pericoloso».

Al voto andranno anche migliaia di giovani. Ci si attende una ventata di novità, di buone intenzioni, di progresso. Ma si scopre in fretta che non è così. Avvolti nel martellante algoritmo confezionato dal social di Elon Musk, i ragazzi di Atlanta non sanno per chi votare. « Molti di loro – conferma Scarlett – non conoscono nemmeno i nomi dei due concorrenti. Hanno solo una vaga idee di un’America che dovrebbe tornare a essere grande. E mandare in esilio i democratici». Già, i dem. Che in Georgia non riescono a lasciare radici profonde, nonostante le buone intenzioni del partito. Nemmeno speculando sul fatto che prima o poi Trump verrà processato proprio qui, ad Atlanta, per aver tentato quattro anni fa di coartare la volontà del segretario di Stato Brad Raffensoerger nel tentativo di sovvertire quell’esile vantaggio di undicimila voti che si era aggiudicato Biden.

Anche il governatore repubblicano Brian Kemp era finito sulla lista nera di The Donald per aveva ratificato la vittoria dem in Georgia. Ora i due si sono rappacificati. Ma perché i dem non ce la fanno? Una parziale spiegazione la troviamo in quel giardino fatato della nostalgia obamiana, che è la bella e lussuosa casa dell’ultranovantenne Mack Wilbourn, amico personale di Obama e organizzatore di molte campagne regionali dei dem, da Jimmy Carter fino a Joe Biden.

Una casa-museo in cui sono cristallizzati i ricordi di una carriera avvinta come l’edera sulla memoria che le forniscono i tanti cimeli esposti, dai pantaloncini argentati (e autografati) di Muhammad Alì reduce da Rumble in the Jungle, il vittorioso match di Kinshasa del 1974 contro George Foreman, alla mazza (sempre autografata) del campione di baseball Babe Ruth, fino allo zainetto-gadget che accompagnò la vittoria del più illustre dei georgiani, l’ex governatore e poi presidente Jimmy Carter, idealista e coltivatore di arachidi, oggi centenario. Si beve whisky e si mangia pollo cucinato dal cuoco (nero) del Benin, mentre si consumano vecchi e nuovi ricordi dell’epopea dem e la piccola aristocrazia nera di Atlanta si scambia consolatorie effusioni. Ma alla fine chi si metterà in tasca la Georgia il 5 novembre? Il quesito iniziale rimbalza fino a qui: «Alla fine si voterà contando i soldi che rimangono in tasca…».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: