Sempre più la schiavitù è fenomeno transnazionale, oggetto di vere e proprie tratte che sfruttano le zone d’ombra della migrazione legale. Il risultato è l’esplosione di un fenomeno che sembrava estirpato, almeno in alcune zone del Pianeta: il lavoro forzato. Un fenomeno sempre più globale, che ha al centro lo sfruttamento di donne e di minori, spesso nel “mercato” del sesso, che cresce anche sulle opportunità e e nell’anonimato garantiti dalle nuove tecnologie. Per questo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha lanciato una campagna pubblicitaria in occasione delle Olimpiadi di Londra.Nella sola Unione Europea, ricordano recenti dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) sono 800mila le persone costrette in schiavitù, in maggioranza (58 per cento) donne e, del totale, 270mila subiscono forme di sfruttamento sessuale. Si tratta in maggioranza di persone dell’Unione, ma anche provenienti da Europa centrale, meridionale e orientale, oltre che dalll’Africa.L’Asia, ospita la percentuale maggiore di lavoro con connotazione di schiavitù: «Il lavoratori migranti in Asia sono stimati in 30 milioni. In linea con le tendenze globali, vi si ritrova una “femminizzazione” del fenomeno, con le donne che sono il 43,5 per cento del totale», dice Max Tunon, specialista nello sviluppo di meccanismi di tutela legale e protezione per i migranti nella sede per l’Asia e il Pacifico dell’Organizzazione internazionale del lavoro, a Bangkok. «La necessità di immigrati nei Paesi riceventi dipende dalla scarsità di manodopera e dall’evoluzione demografica, mentre nei Paesi d’origine abbiamo un’ampia disponibilità di persone attratte da salari più alti ma anche dotate di scarsa preparazione», aggiunge.In Asia i migranti danno un contributo enorme alle economie locali in termini di forza-lavoro, servizi e competitività nei Paesi riceventi. Ci sono, tuttavia, anche numerosi problemi, legati all’ampiezza dell’emigrazione illegale in alcuni Paesi mentre vanno anche considerati i costi sociali riguardo la disgregazione familiare e la dispersione di risorse umane.In quest’ampia serie di problematiche e di bisogni si allargano le aree di sfruttamento definibili come “schiavitù”: secondo i dati Ilo la maglia nera spetta all’Asia con 11,7 milioni di persone coinvolte, per un terzo migranti, sul totale al mondo di 20,9 milioni di persone in schiavitù economica. Il 90% sono sfruttate da individui e imprese, mentre solo il 10% dallo Stato. Lo sfruttamento sessuale rappresenta il 22% dei casi in tutto il mondo, il 60% lo sfruttamento da lavoro.«Chi parte alla ricerca di benessere o sicurezza corre abitualmente forti rischi, anche se ovviamente gli “irregolari” sono meno tutelati rispetto agli abusi da parte di datori di lavoro, mediatori, trafficanti e autorità. I governi dell’Asia e del Pacifico promuovono iniziative, promulgano leggi e procedure per rendere più sicura l’emigrazione legale, ma molto resta da fare per creare incentivi ad usare questi canali, sovente visti come barriere invalicabili alla ricerca di benessere, piuttosto che come tutele effettive. Un atteggiamento comprensibile ma rischioso», continua l’esperto dell’Ilo, Tunon.In particolare la migrazione femminile e minorile tende a riguardare settori economici non regolati da leggi specifiche (come il lavoro domestico) o dove i meccanismi di controllo sono deboli, come nei settori agricolo ed edilizio. Questo significa che i datori di lavoro che li sfruttano hanno poco o nulla da temere e ancor meno chi organizza lucrosi traffici di manodopera, di donne e minori da sfruttare sessualmente, di disperati in fuga da conflitti e persecuzioni. Troppo spesso, quindi, la speranza di una vita diversa finisce in schiavitù, un triste fenomeno che infiltra pesantemente la migrazione legale e promuove quella illegale.