Aruká Juma è morto all'ospedale di Porto Velho - © Gabriel Uchida
Ha combattuto la sua ultima battaglia in un letto del reparto di terapia intensiva di Porto Velho. Per settimane ha resistito agli attacchi del virus. Poi, mercoledì, i suoi polmoni hanno ceduto. E Aruká Juma, tra gli 86 e i 90 anni, s'è aggiunto alla tragica lista delle quasi 245mila vittime brasiliane. Di queste, 970 sono indigeni amazzonici. Come Aruká. Un numero piccolo, per quando i nativi siamo un milione su una popolazione totale di 210 milioni. Almeno in apparenza. In realtà, è proprio la scomparsa di Aruká a svelarci l'enormità della tragedia che si abbatte sugli indios dell'Amazzonia. Insieme a lui potrebbe morire la cultura, storia, tradizione del popolo Juma, di cui era l'ultimo rappresentante maschio. Le tre figlie, in teoria, non possono trasmettere la memoria ancestrale perché la cultura Juma è patrilineare. La primogenita, Borehá, però, è intenzionata a provarci. Così pure le sorelle. Fedeli al sogno di Aruká che i loro figli fossero un ponte tra la cultura Juma e quella Uru-eu-wau-wau dei loro padri. In tal senso, l'insegnamento del nonno - riconosciuto come amoé, saggio - era fondamentale.
Il Covid, dunque, ha potrebbe aver ucciso un popolo. Una "nazione ribelle" capace di resistere alle brutali invasioni dei "signori del caucciù" che catturavano e schiavizzavano gli indios nella raccolta della gomma naturale. I Juma hanno pagato cara la loro resistenza: nel XVIII secolo erano tra i 12mila e i 15mila. Duecento anni dopo ne rimanevano poche decine.
L'incursione più recente risale agli anni Sessanta del Novecento: Aruká l'ha sperimentata sulla propria pelle: ha visto morire una sessantina tra amici e familiari, cacciati come scimmie. Alla fine degli anni Novanta restavano sei superstiti: Aruká, le tre figlie, una coppia di parenti. Le autorità li hanno obbligati a trasferirsi, contro la loro volontà, nel territorio uru-eu-wau-wau. Sono potuti tornare nel 2004 quando, come previsto dalla Costituzione, il governo ha riconosciuto ai Juma il diritto ai 38mila ettari di terra che abitano da tempo immemorabile.
Aruká, insieme alle figlie, ai loro mariti e ai nipoti, ha cercato di ricostruire la comunità.
Fino a quando il Covid non l'ha stroncato. «La sua tragica scomparsa, come quella di migliaia di altri indigeni vittime della pandemia, non è semplicemente frutto di negligenza: è parte delle politiche genocide di Bolsonaro verso i primi popoli del Brasile», ha commentato su Twitter, Survival International Italia, in prima linea nella difesa dei nativi.
Di fronte all'allarmante diffusione della pandemia tra i nativi amazzonici, la Rete ecclesiale panamazzonica (Repam) ha rivolto un appello urgente a una vaccinazione in massa degli abitanti della regione. «Ancora una volta, le carenze del sistema sanitario sono apparse in tutta la loro evidenza, aggravando la pandemia: mancanza di letti negli ospedali, povertà e diseguaglianza», si legge nell'appello di Repam che ha registrato oltre 2 milioni di casi e più di 50mila morti (tra indigeni e non indigeni). Un quinto dei contagi e un quarto dei decessi sono avvenuti negli ultimi due mesi.