Nella polveriera mediorientale la reazione iraniana ci sarà
venerdì 3 gennaio 2020

La risposta iraniana all'uccisione a Baghdad del generale iraniano Qassem Soleimani ci sarà. Come l'escalation. Infiammando una regione che di tutto aveva bisogno, tranne di piromani. Perché, come insegnava Sun Tzu che di guerra si intendeva, «al nemico accerchiato, lascia una via di fuga». Dopo l'attacco a Hezbollah e la reazione del regime iraniano con l'assalto all'ambasciata americana a Baghdad, questa ulteriore accelerazione non può che portare a una fase ulteriore di tensione, un piano superiore nel quale vie di fuga o ragionevolezza si sacrificano sull'altare del mostrare i muscoli. La reazione del regime degli ayatollah ha mille scenari nei quali manifestarsi. L'unica certezza, purtroppo, è che ci sarà perché Ali Khamenei è stato messo all'angolo. Sarà in Siria, in Libano nei confronti di Israele, in Yemen, nel Golfo o in Iran. Solo per non uscire dai confini, cosiddetti, mediorientali.

L'America, per restare nello scenario della “noble art”, ora non può fare che come il pugile: assestato un gancio alla mandibola dell'avversario attende la reazione e la scarica di pugni. Può alzare la guardia, ma non evitarli. E la storia degli ultimi anni l'ha insegnato, fin da quel 1979 che aveva segnato il punto più basso dei favori americani in Iran con la presa degli ostaggi nell'ambasciata.

Ora il petrolio e l'oro schizzano in alto, cristallizzando uno scenario “tradizionale” che non si vedeva da anni. Una polveriera nella quale Trump ha gettato la dinamite come ha commentato il rivale democratico Joe Biden. Ed è questo un altro elemento che preoccupa. Il fatto che un presidente in carica non disdegni l'uso di strumenti militari per esacerbare uno scenario. Per mostrare i muscoli, per diventare determinante. Ben sapendo che il “riflesso” colpirà l'alleato regionale per antonomasia, quel Paese di Israele che è affidato (in attesa del voto di marzo) a un altro leader sotto inchiesta come quello americano: Benjamin Netanyahu. Una situazione a dir poco delicata, dalla quale uscire (in tempi brevi) sarà molto difficile. Così come, paradossalmente, la soluzione non potrà non passare di nuovo da un negoziato, diretto o indiretto, tra il «grande satana» e la «repubblica teocratica».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI