L'aviazione siriana ha ripreso stamattina raid intensi sulla Ghouta orientale, enclave in mano ai ribelli alle porte di Damasco, causando cinque morti fra i civili, due dei quali bambini, e oltre 200 feriti. Lo riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Sempre secondo la Ong, oltre alle bombe gli aerei hanno scaricato oggi dei barili-bomba sulle località di Arbin e Ain Tourma, armi il cui uso è denunciato dall'Onu e dalle organizzazioni internazionali. I raid hanno preso di mira diverse località di quest'area, che è sotto assedio dal 2013 e in cui vivono circa 400mila abitanti. Da domenica, oltre 250 civili, fra cui circa 60 bambini, sono stati uccisi negli attacchi nella Ghouta orientale, sempre secondo il bilancio dell'Osservatorio. Diversi ospedali sono stati messi fuori uso dai raid. Ghouta Est è l'ultimo bastione controllato dai ribelli vicino Damasco. Ieri anche l'aviazione russa, alleata del regime di Bashar Assad, ha bombardato l'area, per la prima volta da tre mesi a questa parte.
«Nei prossimi giorni, e in modo molto rapido, si svolgerà l’assedio al centro urbano di Afrin». È una dichiarazione di guerra quella del presidente turco Erdogan, ieri ad Ankara davanti al gruppo parlamentare del suo Akp. «Grazie all’assedio, l’Ypg non avrà spazio per trattare con il regime siriano», ha sostenuto Erdogan.
Solo poche ore e l’artiglieria turca bombardava il valico di Ziyara, a sud-est di Afrin, dove stavano passando le milizie fedeli ad Assad dirette verso Afrin. È la prima risposta militare turca all’ingresso delle milizie filo regime che, secondo i media turchi, avrebbe provocato una ritirata di 10 chilometri dei siriani. Non consetirò «passi sbagliati di questo tipo» in futuro, e chi li farà «pagherà un prezzo alto», ha poi tuonato Erdogan che considera il tentativo di ingresso dei filo-Assad ad Afrin un «capitolo chiuso, per adesso».
Una crisi che rischi di sfuggire di mano alla Russia
Una crisi che sembra scappare di mano anche alla Russia con Putin che ha subito convocato un consiglio di sicurezza nazionale. Primi scontri fra turchi e siriani. Nessuna apertura politica da Ankara. «L’Ypg vuole dividere la Siria» e Bashar al-Assad «lo sa. E sa anche che l’Ypg è un gruppo terroristico», aveva dichiarato in mattinata il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.
Questo l’obiettivo dell’operazione “Ramoscello d’Ulivo”, entrata nel suo secondo mese: tagliare ogni forma di assistenza alle milizie curde che controllano Afrin, la capitale di un cantoni del Rojava – il Kurdistan siriano costituitosi come regione autonoma alla fine del 2013 – che costituisce un’enclave che va a incunearsi nella frontiera turca. Per questo l’assedio di Afrin per Ankara è il primo passo verso la costituzione di quella zona cuscinetto in cui far defluire i tre milioni di profughi siriani sul suo territorio. Una barriera umana in cui annegare pure le mire indipendentiste dei curdi siriani, per Ankara «terroristi» al pari dei curdi turchi del Pkk.
Una violazione della sovranità siriana, ma anche un piede in una regione che rappresenta l’epicentro del Medio Oriente allargato: l’Eufrate è una risorsa idrica fondamentale mentre nel Rojava (e nella provincia di Deir ez-Zor) si concentra gran parte del petrolio siriano. Inoltre in questi anni, in modo particolare durante l’avanzata verso Raqqa in mano al Daesh delle Forze democratiche siriane, militari e armi statunitensi sono giunti più copiosi che mai a sostenere le milizie curde. Una formidabile partita geopolitica che sembra concentrare in questo fazzoletto il maggior numero di interessi contrapposti nel Medio Oriente.
Se Ankara non accetta nessuno stop internazionale alla sua operazione “Ramoscello d’Ulivo”, Mosca cerca ancora una mediazione. Dopo la telefonata di lunedì fra Erdogan e Putin, senza risultati apprezzabili, ieri l’inviato del Cremlino per il Medio Oriente Mikhail Bogdanov ha ribadito: «La Russia non vuole imporsi su nessuno. Ma se ci viene chiesto, siamo pronti a fare una buona azione per fermare il bagno di sangue e trovare denominatori comuni». L’obiettivo più importante per Mosca, ha aggiunto Bogdanov, è «il rispetto dell’integrità, della sovranità e unità della Siria».
Strage nel Ghouta
Se il nuovo fronte siriano di Afrin si va pericolosamente complicando, nel Ghouta – una zona di conflitto ormai endemiche nella tremenda guerra civile iniziata nel 2011 – si è consumato l’orrore di una delle peggiori stragi del conflitto. Secondo quanto denunciato dagli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 733 civili sono rimasti uccisi o feriti nelle ultime 36 ore di bombardamenti del regime di Bashar al-Assad. Si tratta, secondo l’Osservatorio, del bilancio più grave dal 2015.
«Abbiamo visto bambini morire nelle nostre mani a causa di gravi ferite quando sono arrivati tardi all’ospedale», ha dichiarato alla Dpa Mohammed, medico in uno degli ospedali del Ghouta orientale. Secondo il medico, almeno quattro ospedali della zona sono stati presi di mira lunedì sera. «Perché il mondo è ancora in silenzio? Questo non è un film, questa è la realtà», ha aggiunto Mohammed, auspicando l’intervento della comunità internazionale. Il Ghouta orientale, a est di Damasco, è una delle ultime aree rimaste sotto il controllo dei ribelli: le forze fedeli al regime la assediano da oltre quattro anni. Nell’area è in corso anche una grave crisi umanitaria poiché gli aiuti arrivano con il contagocce e mancano medicinali e generi di prima necessità.