Mentre gli alimenti oggi prodotti nel mondo sarebbero sufficienti a sfamare ben oltre i 7 miliardi di abitanti del pianeta, in Africa rimangono numerose le vittime della fame: circa 250 milioni. E non solo. Ad aumentare è il numero di malnutriti, di coloro che soffrono la carenza di micronutrienti, e poi i più piccoli, i bambini con meno di cinque anni, tra i quali si riscontrano complessi problemi di crescita dovuti a carenze nutrizionali. Tutto questo si scontra con il dato che ogni anno circa un terzo del cibo disponibile a livello mondiale viene sprecato o destinato ad usi non alimentari.
Si potrebbe dire che sono i soliti dati che vengono riportati quando si parla di fame. Ma per l’Africa hanno un significato diverso, come ha ricordato il quinto vertice euro-africano appena concluso ad Abidjan, perché rischiano di spegnere le speranze, mentre il continente ha bisogno che si investa sul suo futuro.
L’Africa, dove risiede oltre un miliardo di persone con una forte tendenza alla crescita demografica (il 2,5%, con un tasso di fertilità di 4.6 figli per donna) con punte ancora più alte in Nigeria, Mali e Uganda, presenta tutte le cause che determinano la fame. Non si tratta solo della povertà che si manifesta in uno scarso potere di acquisto – la metà degli africani vive con meno di 2 dollari al giorno – ma nella concentrazione di conflitti che oltre i numeri, sono insostenibili per i costi sociali ed economici. Basti pensare alla limitata speranza di vita e alle malattie che significano produttività ridotta, spesa sanitaria elevata, abbandono delle terre e fuga verso i centri urbani. E poi i cambiamenti climatici con le conseguenze di vario tipo che si sommano: aridità dei terreni agricoli, limitata produzione che genera carestie ormai cicliche e spesso diventate strutturali. L’elemento che si aggiunge è la crescente difficoltà di apportare aiuti dall’esterno, non solo in ragione dell’insicurezza determinata dai conflitti, ma per la crescente tendenza di gruppi ristretti della popolazione ad accaparrarsi ed utilizzare gli apporti esterni in modo inadeguato, con una legalità sempre più fragile che lascia il suo spazio alla corruzione.
La conseguenza più grave è la riduzione degli occupati nel lavoro agricolo, l’incertezza della produzione e la limitata commercializzazione, nonostante la domanda di alimenti aumenti e le carenze di cibo siano ormai conclamate. Eppure i dati resi disponibili mostrano che il problema non è la crescita delle popolazione rispetto alla disponibilità di alimenti. Infatti, le potenzialità di produzione permettono di sostenere che l’Africa può sfamare il doppio della sua attuale popolazione, nonostante i cambiamenti climatici, l’avanzare della desertificazione e la perdita di terreni coltivabili. Anzi, il peso della perdita è dato dalla sottrazione di terreni da parte di forze esterne al continente, con un land grabbing che continua ad estendersi e a fare profitti, anche con il sostegno di chi dovrebbe curare gli interessi degli africani e dell’Africa.
Uno scandalo. Eppure dobbiamo continuare a sperare, come ha sottolineato papa Francesco il 23 novembre scorso al momento di Preghiera di pace per il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo. Quei due Paesi sono l’esempio di come tutti i fattori che allontanano la pace annullano le potenzialità, gli sforzi per lo sviluppo e la volontà di operare per una crescita sostenibile. Ma la questione si allarga ad altre regioni del continente che mostrano il medesimo scenario drammatico: il nord est della Nigeria o la frammentata area della Somalia, ad esempio. Sono zone ad alta criticità dove la povertà è un elemento persistente, le malattie si diffondono, il degrado sociale aumenta e la speranza di vita diminuisce. Tutto molto velocemente! In queste realtà la miseria dà vita a tragici spostamenti di popolazione di fronte ai quali non bastano analisi e buona volontà. Si fugge perché manca ogni forma di prevenzione, interventi per lo sviluppo o progetti che hanno come finalità l’occupazione, tutte azioni in grado di fornire quella capacità di riposta necessaria a fronteggiare le crisi climatiche e ambientali. Proprio sul versante agricolo e alimentare è noto quanto la mancata prevenzione abbia dei costi impareggiabili: dal degrado delle terre alla mancanza di acqua, alla impossibilità di condizioni di vita vegetale, animale e umana.
Eppure, la risposta a tutto questo rimane frutto di una crescente miopia: sappiamo dei problemi, ne conosciamo le cause, abbiamo programmato gli interventi necessari, ma poi tutto resta fermo, ancorato a delle volontà che sembrano preoccuparsi solo dell’oggi, e di un oggi fatto di interessi limitati.
Come a dire: servono a poco le strategie e le agende se non cambia la mentalità di governanti e governati, in Africa e nel resto del mondo. La gestione delle emergenze e lo sviluppo continuativo richiedono un’azione coordinata e sistematica condotta attraverso le Istituzioni internazionali esistenti, ma svolta in modo intelligente con quella necessaria attenzione ai bisogni degli ultimi e non delle strutture. L’obiettivo è alto e ci impone di non fermarci a raccogliere appelli, ma ci domanda di stabilire quell’incontro tra persone, gruppi e popoli che generi condivisione e dialogo, piuttosto che esclusione e povertà. L’interlocutore privilegiato deve essere il futuro dell’Africa, e cioè le giovani generazioni di africani. Quelle stesse che oggi si sentono private di un futuro.
Da Papa Francesco è giunto spesso l’invito ai governi ad essere “buoni samaritani” capaci cioè di condividere i bisogni altrui, eliminando corruzione, egoismi e desideri di potere. Così facendo l’indifferenza e le “misure asettiche”, quelle che valgono per ogni stagione, potranno finalmente lasciare il posto a rinnovati stili di vita e di consumo. E soprattutto ci faranno comprendere che la lotta alla fame passa per la ricerca del dialogo e della fraternità. Non bastano strategie o agende, ma occorre operare per dare sostegno ai giovani, unica speranza per modificare il volto del continente.
*Osservatore Permanente della Santa Sede presso la FAO, l’IFAD e il PAM