Dopo aver issato le bandiere nere dello Stato islamico sul palazzo del governatorato di Ramadi, gli uomini di Moqtada al-Sadr stanno preparando postazioni difensive e posando mine nelle strade. Intanto, con rastrellamenti casa per casa, si ingrossano le fila di poliziotti e militari lealisti da consegnare a improvvisate corti islamiche. È la sharia, imposta con il terrore, anche nel capoluogo dell’Anbar: ogni gesto dello Stato islamico è una sfida a Baghdad che prepara la controffensiva mentre, riferiscono le agenzie umanitarie, almeno 40mila abitanti sono fuggiti dalla città. La situazione «nei prossimi giorni sarà ribaltata», aveva assicurato lunedì da Seul il segretario di Stato John Kerry, ma l’attesa controffensiva, pare di intuire, non sarà agevole. Secondo testimonianze oculari i miliziani dell’Is usciti da Ramadi stanno avanzando verso est, avvicinandosi pericolosamente ad al-Habbania, distante una trentina di chilometri, dove in una base militare si stanno ammassando i miliziani sciiti e i blindati inviati da Baghdad per la controffensiva. Proseguono i raid aerei della coalizione internazionale su Ramadi e dintorni: almeno 19 quelli registrati ieri. Sono almeno 60mila i miliziani sciiti delle Unità di mobilitazione popolare (Hashd al-Shaabi) dispiegati per proteggere Baghdad dalla minaccia dello Stato islamico. Lo ha riferito la Commissione di sicurezza del Consiglio provinciale della capitale irachena. «Gli esperti ritengono che l’invio di combattenti sciiti a Ramadi ha messo a rischio Baghdad, ma questo non è vero perché 60mila combattenti di Hashd al-Shaabi sono ora dentro Baghdad», si legge in un comunicato che precisa che solo il cinque per cento delle forze Hashd al-Shaabi è stato inviato a Ramadi. Almeno tremila sono invece i miliziani sciiti inviati nella provincia di al-Anbar, nell’Iraq occidentale, per cercare di liberare Ramadi. È già nel pieno, invece, la controffensiva mediatica, con gli evidenti rischi di una escalation che porterebbe a uno scontro etnico-confessionale fra sunniti e sciiti in tutto l’Iraq centrale. Se i jihadisti dell’Is attaccheranno le città sante sciite, «copriremo la terra dell’Iraq dei loro vili cadaveri» ha dichiarato ieri il leader radicale sciita Moqtada Sadr. Una risposta al video diffuso lunedì dall’Is in cui il califfo Abu Bakr al-Baghdadi minacciava nuovamente di marciare «su Baghdad e Karbala». Quest’ultima è la città santa più importante per gli sciiti, essendo stata teatro nel 680 dopo Cristo dell’uccisione del loro terzo Imam, Hussein, per mano dei soldati del Califfato sunnita. Il suo mausoleo è meta ogni anno di milioni di pellegrini. Le minacce di al-Baghdadi contro Karbala, ha detto Sadr, sono da prendere «seriamente» e occorre «fare tutto il necessario per proteggere i nostri sacri mausolei con le nostre vite e il nostro sangue». «Questi barbari devono sapere – ha aggiunto il leader sciita – che si sono già scavati un posto all’inferno, perché copriremo la terra dell’Iraq dei loro vili cadaveri se cercheranno di dissacrare qualsiasi parte di questa terra sacra». Intanto si complica sempre più la situazione umanitaria. Le autorità irachene hanno deciso ieri di aprire le porte di Baghdad ai 25mila civili iracheni fuggiti da Ramadi. Lo ha precisato una fonte della sicurezza irachena: ai civili verrà aperto il ponte sul fiume Eufrate, vicino a Baghdad, dove i rifugiati hanno campeggiato dalla loro fuga da Ramadi. L’attuale esodo da Ramadi si aggiunge a quello di aprile, quando oltre 130mila persone lasciarono la città attaccata dall’Is, secondo dati Onu. Il primo assalto dei jihadisti alla città risale al gennaio del 2014.