mercoledì 21 giugno 2023
Un limite per quei post
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Un post è solo un post? Vi è mai capitato di interrogarvi su quali conseguenze potrebbe avere quello che immettiamo in rete quando decidiamo di pubblicare l’ennesima foto o l’ennesimo reel? Una riflessione che dovrebbe aumentare proporzionalmente al numero dei propri follower e investire prepotentemente il mondo degli influencer per la magnitudo che ha ogni loro parola, ogni loro contenuto. È notizia di pochi giorni fa l’approvazione in Francia di una legge sulla regolamentazione delle attività promozionali online degli influencer. Al di là del riconoscimento giuridico di una professione ancora poco tracciata e controllata dal diritto, quello che è interessante è l’imposizione di alcune limitazioni forti, nette, necessarie a ciò che può essere più o meno pubblicizzato all’interno dei propri canali. Un limite, questo, che è sempre appartenuto alla comunicazione tradizionale e che oggi, per la prima volta, viene portato anche sul Web. Vietata o limitata la promozione di astensione dalle terapie e di interventi di chirurgia estetica – e basta aprire la vostra bacheca di Instagram per vedere una terrificante omologazione stampata sui volti degli influencer dalla mano del chirurgo –, rigidamente regolamentata la promozione di diversi dispositivi medici, di prodotti contenenti nicotina, scommesse e giochi d’azzardo.

Ma forse uno dei passaggi più interessanti è la proibizione di immagini promozionali, in particolare per i cosmetici, che siano ritoccate con filtri e altri strumenti per rendere i prodotti più appetibili. Il marchio Dove di questa tematica da anni ne ha fatto la sua battaglia civile attraverso alcuni famosi video come Reverse Selfie e commissionando ricerche in cui emerge l’enorme dannosità di queste dinamiche, in particolare sui pubblici più giovani. Su 1.000 ragazze intervistate, tra i 10 e i 17 anni, una su due afferma che i consigli di bellezza tossici sui social media le causano una bassa autostima e il 90% di loro dichiara di seguire almeno un account sui social media che le fa sentire meno belle. E non sono dati che sorprendono perché, già nel 2019, uno studio condotto in segreto proprio da Meta poneva l’accento sugli effetti devastanti di questa cultura della finzione sulla psiche di molte teen-ager. Se già quattro anni fa il 32% delle ragazze adolescenti affermava che se si sentivano male per il proprio corpo, Instagram le faceva sentire peggio, capite bene che non sono sufficienti le azioni e le battaglie che alcune aziende, da sole, stanno portando avanti. Serve un’azione più radicale e ben vengano le normative giuridiche che aiutano a regolamentare la comunicazione pubblicitaria anche, direi soprattutto, all’interno delle piattaforme. È ora che anche qui in Italia chi legifera faccia una precisa scelta di campo, a tutela dei minori e di chi non ha gli strumenti per poter filtrare e decodificare quello che vede passare nei 30 secondi di reel sullo schermo del proprio smartphone. Cercare di scardinare questi meccanismi pericolosi non è più un’opzione, ma un’attività urgente e necessaria.

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