mercoledì 18 ottobre 2023
Sulla crisi climatica o di qua o di là
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Poi ci si chiede perché la fiducia nelle istituzioni è ai minimi storici. Prendiamo il G20, il forum dei Paesi più industrializzati del mondo. Che ha “in pancia” il G7, gli Stati più ricchi, potenti e “avanzati” del mondo. E prendiamo i sussidi alle fonti fossili, il cui utilizzo è la prima causa del “collasso climatico” in corso, come dice il segretario generale dell'Onu. Era il 2009 quando il G20 dichiarò che i sussidi alle fossili andavano progressivamente eliminati. Sei anni prima dell’Accordo di Parigi. Nove anni prima che Greta Thunberg innescasse una presa di consapevolezza globale senza precedenti della gravità della crisi climatica. Oggi, 2023: la crisi climatica, come previsto, ci sta esplodendo in faccia. Si moltiplicano gli appelli alla politica a fare di più e più in fretta. Ma almeno su quello che i “grandi” dei Paesi più “grandi” del mondo si sono formalmente impegnati da tanti anni, dai per scontato che i “compiti a casa” siano stati fatti. Che i sussidi alle fossili siano stati consegnati alla storia, o quasi. Altrimenti, con che faccia questi “grandi” ancora parlerebbero? Invece no.

Arrivano i recenti dati del Fondo monetario internazionale (Fmi), non esattamente un’organizzazione tacciabile di “ambientalismo ideologico”: i sussidi alle fossili hanno toccato nel 2022 un nuovo record, 7mila miliardi di dollari, 13 milioni di dollari al minuto, il 7% del Pil globale, un’enormità di risorse finanziarie pubbliche. Con il Fmi che sottolinea due cose: il taglio a questi sussidi sta al cuore dell’azione sul clima; e il calcolo è stato conservativo, per cui le cifre reali potrebbero essere anche più grandi. Larga parte della finanza pubblica nel mondo continua a soffiare sul fuoco della crisi climatica. Come un malato grave che conosce la causa della sua malattia ma scientemente la alimenta, affermando allo stesso tempo di essere impegnato a guarire. Sulla più grande sfida che l’umanità abbia mai avuto di fronte, gli Stati, massimamente ipocriti, stanno tradendo i cittadini. Allora c’è chi ha pensato che servisse uno strumento che obbligasse le istituzioni, gli Stati, a smettere di perpetrare questo tradimento. Tre anni fa è partita l’iniziativa del #FossilfuelTreaty per un Trattato internazionale di Non-proliferazione delle fonti fossili. Vuole completare e rafforzare l’Accordo di Parigi, in cui – anche qui incredibilmente – le fossili non sono neppure menzionate. Fra i suoi punti cardine c’è la rimozione dei sussidi alle fossili: si va dritti al “cuore” del problema, come dice il Fmi.

Il Trattato è sostenuto fra gli altri dall’Organizzazione mondiale della sanità, dal Vaticano e dal Parlamento Europeo. A luglio è arrivata l'adesione della capitale italiana, Roma, che ha passato all’unanimità una mozione di sostegno al Trattato, diventando una delle circa cento città nel mondo a farlo e impegnandosi a promuoverlo sia presso il governo, sia presso l’Anci (l’associazione dei Comuni italiani). Roma è la terza città italiana ad aderire, dopo Torino e Pontassieve. Crescono anche i parlamentari italiani che sostengono il Trattato, fra i quali spicca il vicepresidente della Camera ed ex-ministro dell’Ambiente, il generale Sergio Costa. Crescono le organizzazioni aderenti, anche religiose: il Movimento Laudato Si’ lo sostiene da anni, più recentemente anche la Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia e il Consiglio ecumenico delle Chiese. Nelle settimane scorse è arrivato il sostegno ufficiale, importantissimo, della California, che si è aggiunta alla lista – che alla COP28 in Dubai potrebbe allungarsi ancora – in cui già figuravano una serie di Stati insulari del Pacifico. Perché sono sempre di più quelli che pretendono che questo tradimento finisca. « Non potete servire Dio e Mammona » (Matteo 6,24): o si lotta contro la crisi climatica, o si finanzia ciò che l'ha provocata.

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