Un cantautore che è anche professore. E un “vecchio professore” – così si è recentemente definito in un recente incontro – che è anche vescovo. Ieri sera, monsignor Daniele Gianotti ha parlato dal presbiterio della “sua” cattedrale di Crema (Cremona). Nulla di strano, se non fosse che anziché sedere in cattedra stava accomodato dietro a un tavolino dal design bianco. E soprattutto che al suo fianco non c’erano il vicario generale, il presidente del Capitolo della cattedrale, i sacerdoti diocesani, lo splendore liturgico delle Messe pontificali… Ma Roberto Vecchioni.
Sì, il vincitore del Festival di Sanremo (nel 2011, con “Chiamami ancora amore”). Il docente liceale (per trent’anni) che ha poi insegnato tra La Sapienza di Roma e la Statale di Pavia. Il Cavaliere della Repubblica insignito da Carlo Azelio Ciampi. A Crema l’ha invitato il Servizio diocesano di pastorale giovanile, per parlare con il vescovo di felicità. “Ma non so dire cosa sia la felicità – risponde alla prima domanda -. So solo che è vivere appieno la vita”. Ed ecco che in Cattedrale il mito di Orfeo si fonde alle Confessioni di Sant’Agostino, la laicità si scopre non parallela ma intersecata alla fede, millenni di storia si mostrano sublimati nelle pagine evangeliche.
“La felicità si possiede quando sei padrone del tempo, che è come un fiume, ti trascina e non lo fermi. Tutto ciò che puoi fare è renderlo verticale. Fare un fermo immagine di tutto ciò che hai amato e convincerti che non lo perderai mai”. Ma la felicità è soprattutto relazione. Vecchioni e Gianotti lo scandiscono a una sola voce: “Non si può essere felici se si è soli. Si è felici solo se si fa comunità”. Con il padre (“Con Lui”, maiuscolo, dice il vescovo). Con le persone care. E la sofferenza? “Fa parte della vita, va accettata, per certi versi fa anch’essa parte della felicità”. Il Duomo è gremito di giovani, una scheda sim raccoglie via whatsapp le loro domande.
Gianotti si fa interprete del comune sentire: “Spesso la fede è vista come un insieme di regole che non porta alla felicità”. Ma ribatte: “La proposta della fede è quella d’incamminarsi sulla strada della felicità”, anche quando “è difficile stare su una strada”. Eppure, “la sfida è proprio questa: “credere che la strada conduce da qualche parte”. La strada stretta, quella della vera felicità. Non quella vana imboccata dal figliol prodigo. Ma per Vecchioni almeno “lui ha provato, e Gesù, con questa parabola, ci dice una cosa straordinaria: i figli devono andare oltre i padri. Devono provare, anche a costo di sbagliare”. Il figliol prodigo sbaglia. Ma alla fine, proprio per questo, “diventa un’altra persona”.
Vecchioni intona la sua “Sogna ragazzo, sogna”. La chiesa prorompe nell’ennesimo applauso. Davvero si mostra “Duomo”: “casa dei cremaschi”. E pure “Cattedrale”: sede del vescovo, luogo in cui Dio parla attraverso l’uomo. In modo sorprendentemente umano.