Un'immagine del meeting mondiale delle famiglie a Filadelfia, Stati Uniti
Nella giornata di sabato 7 aprile in un convegno a Roma è stata redatta una lettera in riferimento all'Amoris laetitia nella quale si parla di «grave pericolo venutosi a creare per la fede e l’unità della Chiesa» a causa di «interpretazioni contraddittorie» dell’Amoris laetitia, tali che «tra i fedeli nel mondo si diffondono sconcerto e confusione crescenti». Di seguito riportiamo un'intervista al teologo Giuseppe Lorizio che replica al documento e un articolo dedicato a questo convegno.
Il teologo: «È una dichiarazione inutile, nessuno cambia le verità di fede»
(di Luciano Moia)
«Che valore dare a questa dichiarazione? Del tutto inutile. Nessuna delle verità di fede che la tradizione ci consegna su Eucaristia e matrimonio viene rivoluzionata da Amoris laetita. Quindi non si vede la necessità di ribadire verità che nessuno mette in dubbio». Ne è convinto monsignor Giuseppe Lorizio, docente di teologia fondamentale alla Lateranense. «Ma voglio dirlo in maniera serena, non polemica, confrontandomi su alcuni aspetti evocati durante il convegno di ieri».
Cominciamo da un punto teologico fondamentale come il “sensus fidelium”. È stato detto, ricordando un testo del beato Newman, che sarebbe necessario nei momenti di crisi ricorrere alla consultazione dei fedeli laici. Siamo in uno di quei momenti?
Direi proprio di no. Anche perché la consultazione durante il periodo sinodale è già stata fatta in modo ampio e accurato. L’esito è stato chiarissimo. Non se ne può avviare una alternativa. Questo è davvero un punto di debolezza. Ma sono evidenti anche i risultati della ricezione.
Si riferisce all’accoglienza di «Amoris laetitia» nelle comunità?
Certo. Per limitarci all’Italia, quando oltre 150 diocesi avviano iniziative importanti per promuovere e tradurre in prassi pastorale l’Esortazione, vuol dire che non c’è confusione come è stato detto ma gioiosa gratitudine per il cammino sinodale compiuto dalla Chiesa. L’Ufficio famiglia della Cei ha messo insieme un dossier di 200 pagine con tutto quanto fatto in questi due anni. Sono fatti concreti. Come si fa a ignorare questa realtà? Questo vuol dire ascoltare il “sensus fidelium”.
Non le sembra che durante il convegno di ieri temi fondamentali come la coscienza e il discernimento siano stati del tutto travisati?
Purtroppo sì. E mi dispiace che sia stato fatto con un uso strumentale di Newman. Proprio il grande cardinale spiega che le verità di fede sono certamente immutabili, ma per essere salvifiche devono essere condivise dalla coscienza dei credenti. Qui invece si fa un elenco di verità espresse in modo oggettivo e dogmatico senza tenere conto ciò che proprio Newman spiega a proposito della tradizione.
Nella prefazione al libro di Buttiglione anche il cardinale Müller aveva ribadito la piena conformità di «Amoris laetitia» alla tradizione tomistica.
Non solo. Aveva spiegato con chiarezza che due persone in nuova unione potrebbero in coscienza considerare nullo il proprio matrimonio e, pur senza avere la possibilità di ottenere un decreto giuridico, il loro stato dovrebbe essere considerato di colpa lieve. Una valutazione pienamente adeguata alla prassi pastorale da sempre seguita.
Il convegno. Lo sconcerto di due prelati nella forma di una «declaratio»
(di Mimmo Muolo)
Due cardinali, Walter Brandmüller e Raymond Leo Burke, un vescovo, monsignor Athanasius Schneider, e diversi laici, tra i quali l’ex presidente del Senato Marcello Pera, sono stati ieri tra i relatori del convegno “Chiesa cattolica dove vai?” (sottotitolo una frase del cardinale Carlo Caffarra: «Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione»), sfociato nella lettura di una Declaratio. Nel testo si parla di «grave pericolo venutosi a creare per la fede e l’unità della Chiesa» a causa di «interpretazioni contraddittorie» dell’Amoris laetitia, tali che «tra i fedeli nel mondo si diffondono sconcerto e confusione crescenti». Per questo i proponenti ribadiscono l’indissolubilità del matrimonio e riaffermano che «i cristiani che, uniti da un matrimonio valido, si uniscono a un’altra persona mentre il loro coniuge è ancora in vita, commettono il grave peccato di adulterio». Dunque «i divorziati risposati civilmente e non disposti a vivere nella continenza, trovandosi in una situazione oggettivamente in contrasto con la legge di Dio, non possono accedere alla Comunione eucaristica». Tutto questo evidentemente sottintendendo che l’Esortazione di papa Francesco quanto meno renderebbe non assoluta questa regola.
Tutto il convegno, del resto, è stato costruito su uno scoperto quanto rischioso filo del rasoio. Ricordare le “regole del gioco” (ad esempio in materia di plenitudo potestatis del Papa), facendo intendere che in questo frangente si lavora per aggirarle. Oppure richiamarsi (come ha fatto Brandmüller, citando un testo del 1859 del cardinale Newman) al sensus fidei dei fedeli (di cui pure c’è ampia traccia in Evangelii gaudium), sottolineando da un lato che esso «richiede la santità» e che dunque «non lo si può determinare democraticamente» e dall’altro che ce ne sarebbe di più in manifestazioni spontanee come Manif pour tous che nei questionari compilati in vista del Sinodi.
Anche Burke si è mosso su un crinale simile. Secondo il porporato – che è autore dei Dubia, insieme allo stesso Brandmuller, Caffarra e Meisner – quest’ultimo, dopo aver ascoltato la prolusione del cardinale Walter Kasper durante il Concistoro straordinario del febbraio 2014, gli avrebbe confidato che «se non ci fosse stata un’adeguata e repentina correzione, tutto ciò finirà in uno scisma». Inoltre, ha aggiunto Burke, durante il Sinodo del 2014, un cardinale avrebbe sostenuto che «la pienezza del potere, che per diritto divino inerisce all’ufficio petrino, permetterebbe al Papa di prendere una decisione in contrasto con le parole del Signore». Proprio quelle in cui si fa riferimento all’indissolubilità del matrimonio.
Curiosamente è stato proprio il laico Pera a riconoscere che la supposta “confusione” nella Chiesa non si deve a Francesco, ma consisterebbe nella «riduzione del messaggio di salvezza del cristianesimo a messaggio di liberazione». Conseguenza il neopelagianesimo di chi ritiene che ci si può salvare solo con le proprie opere di liberazione. Ma guarda caso è proprio uno dei pericoli dai quali costantemente mette in guardia papa Bergoglio, come si evince anche nella recente Lettera Placuit Deo della Congregazione per la dottrina della fede.