«Lentamente, inizio a rendermene conto. Man mano che diminuisce la sorpresa aumenta la gratitudine per l’onore conferito all’intera diocesi. E la consapevolezza della grande responsabilità a cui sono chiamato». Un anno fa,
Alberto Suárez Inda aveva presentato a papa Francesco la rinuncia alla guida dell’arcidiocesi di Morelia. L’arcivescovo, sacerdote da mezzo secolo, stava per compiere 75 anni, l’età prevista per la pensione. Il Vaticano gli aveva chiesto di pazientare un altro po’. Non poteva prevedere, però, che il Pontefice non avesse nessuna intenzione di metterlo a riposo. L’ha scoperto la mattina del 4 gennaio quando, alle cinque, il telefono ha squillato. E un amico gli ha detto con la voce commossa: «Il Papa ti ha nominato tra i nuovi cardinali». Monsignor Suárez Inda ha reagito come al solito. Ripresosi dalla sorpresa, l’arcivescovo ha continuato a lavorare insieme ai suoi sacerdoti per costruire la pace in una terra dilaniata dalla violenza. Negli ultimi dieci anni, in Messico, il potere dei narcotrafficanti è cresciuto di pari passo con la capacità di questi di infiltrarsi nelle istituzioni pubbliche. La lotta fra loro e contro il governo – per la conquista di territori in cui realizzare 22 tipi di business illegali – si è trasformata in una guerra feroce che ha fatto 150mila vittime. Uno degli epicentri della violenza è il Michoacán, dove si trova Morelia. Là, il 16 settembre 2008, i trafficanti compirono la prima “strage pubblica”, scagliando bombe contro la folla riunita per celebrare la festa d’indipendenza. Con il tempo, la situazione è peggiorata: nel 2013 ci sono stati 916 omicidi, l’anno scorso 981. Monsignor Suárez Inda si è trovato spesso in prima linea. Nell’ottobre 2013 ha sostenuto la denuncia del vescovo della vicina Apatzingán, Miguel Patiño, sul caos imperante nella regione. E, nel dicembre successivo, insieme agli altri vescovi di Morelia, ha chiesto a gran voce: «No más sangre», basta spargimenti di sangue.
La scelta di papa Francesco è stata interpretata come un segno di vicinanza a una terra ferita. La diocesi di Morelia ha tenuto viva la memoria e l’opera del suo primo pastore, Vasco de Quiroga. Abbiamo dato al Paese oltre cinquanta vescovi. E un numero incalcolabile di sacerdoti, missionari, laici impegnati. Ora, però, il Michoacán vive un momento di grande dolore. Il crimine organizzato ha rafforzato la sua presenza e aumentato il livello di violenza. La gente ha paura. Eppure, in questi tempi bui, i messicani conservano la speranza. Per questo, voglio essere ottimista: abbiamo toccato il fondo e, non fra tanto tempo, vedremo la luce spuntare alla fine del tunnel. Le persone hanno assunto maggiore consapevolezza e reclamano una partecipazione attiva e democratica. Spero che riescano a far sentire la loro voce nelle elezioni amministrative di quest’anno.
La violenza non risparmia nessuno in Messico. L’ultimo rapporto di Fides ha assegnato al Paese il macabro primato di operatori pastorali assassinati nel 2014. Chi annuncia il Vangelo si fa portatore di un messaggio antitetico a quello dei narcos. E questi ultimi rispondono con la violenza. Invano. Il cristiano sa che a volte è chiamato ad essere testimone fino al dono della vita... Per questo, alcuni sacerdoti sono stati assassinati. Non tutti dai narcos, a volte sono episodi di criminalità comune. Resta, comunque, un crudele paradosso per uno dei Paesi con più cattolici al mondo. A cui non possiamo né vogliamo rassegnarci. Dobbiamo puntare sull’educazione per isolare la minoranza violenta. Non mi riferisco solo all’istruzione scolastica ma alla formazione della persona umana. Non possiamo accettare politici educati nelle scuole cattoliche si rivelino amministratori corrotti e rapaci. I giovani sono la nostra priorità. Dobbiamo lavorare per loro con un programma di lungo periodo. Consapevoli che, come dice papa Francesco, il tempo è superiore allo spazio.
Che cosa significa essere pastore in mezzo a una guerra invisibile? Cerco solo di essere un segno di comunione per la nostra gente sofferente. Accompagnando le vittime, asciugando le loro lacrime e accogliendo il loro dolore. E contribuendo a costruire il domani, attraverso l’educazione.