Imagoeconomica
Il viaggio del Papa comincia fisicamente oggi, ma per trovare il suo vero inizio bisogna tornare più indietro. Alle denunce degli orrori provocati a ogni latitudine dalla colonizzazione ideologica, alle conclusioni del Sinodo sull’Amazzonia, soprattutto al 1° aprile scorso. Quel giorno il Pontefice ha incontrato una delegazione dei popoli indigeni canadesi: c’erano rappresentanti dei First Nations, dei Métis, degli Inuit.
Sullo sfondo la drammatica storia delle cosiddette scuole residenziali, istituti in cui si lavorava per cancellare l’identità dei nativi. Si calcola che circa 150mila bambini furono strappati alle loro famiglie e costretti a studiare in questi centri. Circa 4mila vi trovarono la morte per malattie, fame, abusi. Durissimo a ricordo di quei fatti l’intervento del Papa. Un discorso in cui risuonarono con forza due parole: indignazione «perché è ingiusto accettare il male, ed è ancora peggio abituarsi al male». E poi: vergogna «per il ruolo che diversi cattolici, in particolare con responsabilità educative, hanno avuto in tutto quello che vi ha ferito, negli abusi e nella mancanza di rispetto verso la vostra identità, la vostra cultura e persino i vostri valori spirituali».
Si può dire che l’incontro di aprile abbia dato il là all’attuale visita che con una formula inconsueta Francesco ha definito “pellegrinaggio penitenziale”. In verità anche per il viaggio in Iraq fu usata la stessa espressione, osserva il cardinale Michael Czerny. «Lo disse lo stesso Pontefice durante l’udienza generale del 10 marzo 2021: “Ho sentito forte il senso penitenziale di questo pellegrinaggio: non potevo avvicinarmi a quel popolo martoriato, a quella Chiesa martire, senza prendere su di me, a nome della Chiesa cattolica, la croce che loro portano da anni; una croce grande, come quella posta all’entrata di Qaraqosh” ».
Intento dell’iniziativa è «cercare il perdono per il terribili effetti provocati dal non riconoscere Gesù Cristo “come egli stesso indiano”, avrebbe affermato Wojtyla»
Il prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale accompagnerà il Pontefice nella visita. «La mia speranza – spiega – è che il pellegrinaggio penitenziale del Santo Padre spinga tutte le componenti della società canadese - appartenenti a qualsiasi comunità di fede o non credenti - a manifestare autentico rispetto per i popoli indigeni. E che questi ultimi siano pienamente coinvolti nel processo di formazione e sviluppo del Paese portando i loro valori spirituali, comunitari e ambientali. Allo stesso modo spero che all’interno della comunità cattolica possano partecipare e contribuire più pienamente alla vita della Chiesa».
Anche se nato nell’allora Cecoslovacchia, lei è cresciuto in Canada. Con quali sentimenti vivrà le prossime giornate?
Sono vissuto in Canada fino al 1989. Come quasi tutti i canadesi “non indigeni”, non conoscevo quello che è diventato di dominio pubblico dopo le scuse del governo nel 2008 e il rapporto della Commissione per la verità e la riconciliazione del 2015. Penso che potrà essermi utile l’esperienza maturata nel Sinodo dell’Amazzonia per capire meglio tanto le sfide come le possibilità per i popoli indigeni del Canada.
Il riferimento essenziale del viaggio è agli abusi commessi nelle cosiddette scuole residenziali. I momenti centrali di questo percorso, che vuol essere di riconciliazione, di guarigione delle ferite, saranno l’incontro e l’ascolto.
C’è stato un grande lavoro di preparazione, con consultazioni a tutti i livelli. Non so che cosa dirà il Papa, ma prevedo che i suoi interventi saranno umanamente, simbolicamente e spiritualmente ancora più forti delle dichiarazioni fatte il 1° aprile. Bisogna anche tener presente che questo viaggio rappresenta un’eccezione rispetto al solito calendario. Il Papa ha infatti deciso di interrompere la consueta pausa estiva di luglio e malgrado l’evidente dolore vuole tradurre in fatti ciò che dice. L’attenzione agli emarginati, agli esclusi, agli scartati dell’umanità è centrale nella sua guida della Chiesa e nel mondo. Sono sicuro che questo emergerà chiaramente nei discorsi e nei gesti del viaggio.
Il Pontefice ha parlato di colonizzazione ideologica, che è l’esatto contrario dell’evangelizzazione “buona” se così si può dire, fondata anche sulla testimonianza. Quella per la quale la Chiesa cresce per attrazione...
Come canadese, sacerdote cattolico e gesuita, ho partecipato alla bellissima cerimonia interculturale al Santuario dei Martiri a Midland in Ontario nel 1984 e ho sentito personalmente san Giovanni Paolo II proclamare: «Cristo anima il centro stesso di ogni cultura, per cui non solo il cristianesimo interessa tutte le popolazioni indiane, ma Cristo, nei membri del suo corpo, è egli stesso indiano» o indigeno, diciamo adesso. Oggi siamo in grado di apprezzare meglio ciò che allora faticavamo a capire. Quasi 40 anni dopo, è veramente commovente accompagnare papa Francesco nel suo grande sforzo fisico per incontrare i membri del Corpo di Cristo in Canada che appartengono alle Prime Nazioni. Un pellegrinaggio penitenziale per cercare il perdono per il terribili effetti provocati dal non riconoscere Gesù Cristo «come egli stesso indiano».
Il cardinale Michael Czerny: «I peccati del passato purtroppo ancora sopravvivono e ognuno deve fare la sua parte per superarli L’umiltà di fronte ad atti vergognosi e offensivi è fecondità»
Si tratta di valorizzarne anche la ricchezza, la profondità spirituale. Pochi mesi dopo essere stato eletto Papa, Francesco scrisse: «È un fatto indiscutibile che nessuna singola cultura può esaurire il mistero della nostra redenzione in Cristo» ( Evangelii gaudium 118). Se questa convinzione fosse stata accettata da tutti coloro che sono stati coinvolti nei secoli successivi alla “scoperta” delle Americhe, molte sofferenze si sarebbero evitate, ci sarebbero stati grandi sviluppi e le Americhe sarebbero state complessivamente migliori.
Un richiamo che riguarda le Chiese e i credenti tutti. I cattolici di oggi possono non sentirsi coinvolti dagli errori del passato, ma sono chiamati a prendersi cura di coloro che subiscono le conseguenze del colonialismo, del razzismo, della repressione culturale. I peccati di ieri sopravvivono e ognuno deve fare la sua parte per superarli. I canadesi in generale, non solo i cattolici, hanno bisogno di una maggiore conoscenza delle dinamiche del colonialismo praticate all’interno del Paese e non solo dalle potenze straniere che entrano nel loro territorio. L’aprile scorso il Papa rivolto ai vescovi canadesi ha detto: «Fratelli miei vescovi: grazie! Grazie per il vostro coraggio. Lo Spirito del Signore si rivela nell’umiltà. Davanti a storie come quelle che abbiamo ascoltato, l’umiliazione della Chiesa è fecondità». L’umiltà di fronte ad atti vergognosi e offensivi, indipendentemente dal fatto che si sia personalmente responsabili o meno, è fecondità. Si spera che questo sia un effetto a lungo termine della Commissione per la verità e la riconciliazione e delle varie richieste di perdono.