Il patriarca di Mosca, Kirill - Ansa
Kirill non fa marcia indietro. Anzi, accentua le sue accuse, e rende ancora più esplicito il sostegno all’invasione dell’Ucraina. Nell’analisi del patriarca ortodosso di Mosca, tutto appare rovesciato. Così le colpe del conflitto sono da attribuirsi alla Nato che ha ignorato le preoccupazioni di Mosca. E quello in corso non è un attacco, bensì per certi versi un’operazione difensiva. Tanto più che nel mondo occidentale si sta diffondendo una russofobia senza precedenti.
L’intervento di Kirill arriva all’indomani della lettera con cui Ioan Sauca segretario generale ad interim del Consiglio ecumenico delle Chiesa (Cec), organismo di cui il Patriarcato di Mosca fa parte, lo invitava a intervenire per fermare la guerra. «Molti la guardano come colui che potrebbe portare un segno di speranza per una soluzione pacifica – affermava Sauca il 2 marzo -. Scrivo a sua santità come segretario generale ad interim del Cec, ma anche come sacerdote ortodosso. Per favore alzi la sua voce e parli a nome dei fratelli e sorelle sofferenti, la maggior parte dei quali sono anche membri fedeli della nostra Chiesa».
Come noto, una prima risposta indiretta era arrivata domenica 6 marzo con l’ormai celebre sermone in cui Kirill identificava il conflitto in corso come una lotta del bene contro la promozione dei modelli di vita peccaminosi e contrari alla fede cristiana, portati avanti dall’Occidente. Esempio lampante: il gay pride. Ieri il patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie è andato oltre, articolando in chiave “geopolitica” l’analisi della guerra, a partire dalle ragioni che l’hanno prodotta. «Anno dopo anno, mese dopo mese – scrive Kirill nella lettera di risposta al Cec –, gli Stati membri della Nato hanno rafforzato la loro presenza militare, ignorando le preoccupazioni della Russia che queste armi un giorno potessero essere usate contro di essa».
Il conflitto non è iniziato oggi – aggiunge – e all’origine non ci sono i popoli di Russia e Ucraina bensì i rapporti tra Occidente e Mosca», diventati particolarmente tesi nel 2014 anno dell’autoproclamata indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Lugansk. «Fu allora – prosegue Kirill – che scoppiò un conflitto armato nella regione del Donbass, la cui popolazione difendeva il proprio diritto a parlare la lingua russa, chiedendo il rispetto della propria tradizione storica e culturale. Tuttavia, le loro voci restarono inascoltate, così come migliaia di vittime civili sono passate inosservate nel mondo occidentale».
Ora invece quel conflitto è diventato parte di una strategia volta, secondo Kirill – «in primo luogo, a indebolire la Russia». Le forze politiche occidentali, infatti, nella lettura del patriarca, hanno lavorato in questi anni per «rendere nemici popoli fraterni» senza risparmiare «sforzi e fondi per inondare l’Ucraina di armi e istruttori di guerra».
Ma ancora «più terribile» è «il tentativo di rieducare, di trasformare mentalmente gli ucraini e i russi che vivono in Ucraina, in nemici della Russia». Si tratta dello stesso fine – secondo Kirill – alla base dello «scisma creato dal patriarca Bartolomeo di Costantinopoli nel 2018». Il riferimento è alla nascita della Chiesa ortodossa autocefala ucraina, riconosciuta da Bartolomeo con conseguente rottura dei rapporti con Mosca.
Manca totalmente nell’analisi di Kirill un qualsiasi riconoscimento delle responsabilità moscovite nel conflitto. E la stessa preghiera che conclude la lettera contiene un indiretto atto di accusa. «Prego incessantemente che il Signore aiuti a stabilire al più presto una pace duratura e basata sulla giustizia» – scrive Kirill –. E spero che anche in questi tempi difficili, il Cec rimanga una piattaforma per un dialogo imparziale, libero da preferenze politiche e da un approccio unilaterale».