Se è vero che due date della festa liturgica della Trasfigurazione di Cristo, segnano in qualche modo due estremi del pontificato di Paolo VI – il 6 agosto 1964 con la pubblicazione dell’enciclica programmatica Ecclesiam suam al fine di chiarire a tutti quanto la Chiesa avvertisse le sbalorditive novità del tempo affacciandosi con candida fiducia sulle vie della modernità; e il 6 agosto 1978 con l’epilogo affrontato come atto supremo nella preghiera, ultima battuta di un ininterrotto colloquio con Dio – è altrettanto vero che, più passa il tempo, più possiamo ripetere con le parole di Giovanni Paolo II che Giovanni Battista Montini «è stato testimone della Trasfigurazione anche come annunciatore della signoria di Cristo sulla storia». Un annuncio al quale il pontefice ha legato l’intera sua vita dilatandolo ai più lontani attraverso lo strumento del dialogo soprattutto dopo il Concilio Vaticano II e per il quale gli è toccata la sorte di es- sere riconosciuto «grande» dopo la morte. Passare in rassegna anche solo alcuni quotidiani di trentuno anni fa potrebbe anche non costituire un esercizio sterile facendoci imbattere in un coro, quasi unanime, a sottolineare la grandezza e la complessità di un pontefice che pure – come notò il poeta Eugenio Montale – aveva creato molti dubbi e lo sapeva.Basterebbe rileggersi un passaggio dell’editoriale per «Repubblica» di Eugenio Scalfari che l’8 agosto scriveva: «Ereditò una Chiesa richiamata a nuova vita ma esposta a tutti i venti; lascia una Chiesa più sicura di sé in un mondo che ha visto invece la propria crisi aggravarsi ed estendersi. Noi laici dobbiamo qui dirlo: la società religiosa si è in questi anni assai meno imbarbarita della società laica». Questo nel ’78. Ricordare l’anniversario della morte di Paolo VI non significa però fare solo esercizi di memoria o di ammirazione, ma, piuttosto, cercare quella larga parte del suo lungimirante insegnamento al quale Benedetto XVI continua a fare riferimento in alcune importanti riflessioni per capire i cardini dello sviluppo umano. È accaduto recentemente con la Caritas in veritate , che manifestamente vuole riprendere quella sensibilità e profezia della Populorum progressio nella quale Paolo VI avvertiva i «popoli dell’opulenza» di non disattendere i «popoli dell’indigenza», ma di realizzare con loro un adeguato ristabilimento dell’ordine sociale non per la via del profitto o del conflitto bensì dello sviluppo. Ed è sull’eredità della premessa montiniana che l’attuale pontefice arriva ad indicare nello sviluppo il nuovo concetto di pace, a richiamare la comunità internazionale a gestire la globalizzazione in atto per una promozione di vera fraternità, «il cui punto di riferimento non siano – come sintetizza il teologo monsignor Ettore Malnati – né il mero profitto, né una spregiudicata economia di mercato, né una tecnologia invasiva nei confronti dell’umanità, alterando le relazioni e la vita morale». Un magistero dunque nel segno della continuità, ma creativa, e, va da sé nutrita da esperienze diverse che finiscono per segnarne percorsi e traguardi. «Montini ha vissuto nel suo ministero pastorale a Milano il problema dell’urbanesimo, di persone che lasciate alle spalle situazioni rurali o vissuti a misura d’uomo erano catapultate nelle metropoli, alle catene di montaggio... Assistette a questo fenomeno e cercò di provvedere pastoralmente affinché non andassero sciupati valori spirituali e culturali, non prevalesse insieme al disagio lo smarrimento – continua Malnati –. Papa Ratzinger per la sua formazione teologica tende a sottolineare il recupero della verità della persona che non può essere tale senza la realizzazione dell’equilibrio reale nel soggetto tra materia e spirito, per poi essere positiva presenza nell’impegno culturale e sociale ». Come a dire non due ottiche antitetiche, bensì complementari, in quanto la persona non può dare ciò che non ha acquisito. Due approcci che si fondono in uno e che, insieme, possono spronare la persona a realizzare la verità di se stessa, aiutandola a determinarsi anche per una polis davvero degna dell’uomo.