giovedì 6 agosto 2009
Il 6 agosto 1978 moriva il Papa della «Populorum progressio», l’enciclica che Benedetto XVI ha scelto quale «bussola» della sua «Caritas in veritate»
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Se è vero che due date della festa li­turgica della Trasfigurazione di Cri­sto, segnano in qualche modo due estremi del pontificato di Paolo VI – il 6 a­gosto 1964 con la pubblicazione dell’en­ciclica programmatica Ecclesiam suam al fine di chiarire a tutti quanto la Chiesa av­vertisse le sbalorditive novità del tempo affacciandosi con candida fiducia sulle vie della modernità; e il 6 agosto 1978 con l’e­pilogo affrontato come atto supremo nel­la preghiera, ultima battuta di un ininter­rotto colloquio con Dio – è altrettanto ve­ro che, più passa il tempo, più possiamo ripetere con le parole di Giovanni Pao­lo II che Giovanni Battista Montini «è stato testimo­ne della Trasfigurazione anche come annunciato­re della signoria di Cristo sulla storia». Un annuncio al quale il pontefice ha legato l’inte­ra sua vita dilatandolo ai più lontani attraverso lo strumento del dialogo so­prattutto dopo il Concilio Vaticano II e per il quale gli è toccata la sorte di es- sere riconosciuto «grande» dopo la mor­te. Passare in rassegna anche solo alcuni quotidiani di trentuno anni fa potrebbe anche non costituire un esercizio sterile fa­cendoci imbattere in un coro, quasi una­nime, a sottolineare la grandezza e la com­plessità di un pontefice che pure – come notò il poeta Eugenio Montale – aveva creato molti dubbi e lo sapeva.Basterebbe rileggersi un passaggio dell’e­ditoriale per «Repubblica» di Eugenio Scalfari che l’8 agosto scriveva: «Ereditò una Chiesa richiamata a nuova vita ma e­sposta a tutti i venti; lascia una Chiesa più sicura di sé in un mondo che ha visto in­vece la propria crisi aggravarsi ed esten­dersi. Noi laici dobbiamo qui dirlo: la so­cietà religiosa si è in questi anni assai me­no imbarbarita della società laica». Que­sto nel ’78. Ricordare l’anniversario della morte di Paolo VI non significa però fare solo eser­cizi di memoria o di ammirazione, ma, piuttosto, cercare quella larga parte del suo lungimirante insegnamento al quale Benedetto XVI continua a fare riferimen­to in alcune importanti riflessioni per ca­pire i cardini dello sviluppo umano. È ac­caduto recentemente con la Caritas in ve­ritate , che manifestamente vuole ripren­dere quella sensibilità e profezia della Po­pulorum progressio nella quale Paolo VI avvertiva i «popoli dell’opulenza» di non disattendere i «popoli dell’indigenza», ma di realizzare con loro un adeguato rista­bilimento dell’ordine sociale non per la via del profitto o del conflitto bensì dello sviluppo. Ed è sull’eredità della premessa monti­niana che l’attuale pontefice arriva ad in­dicare nello sviluppo il nuovo concetto di pace, a richiamare la comunità interna­zionale a gestire la globalizzazione in at­to per una promozione di vera fraternità, «il cui punto di riferimento non siano – come sintetizza il teologo monsignor Et­tore Malnati – né il mero profitto, né una spregiudicata economia di mercato, né u­na tecnologia invasiva nei confronti del­l’umanità, alterando le relazioni e la vita morale». Un magistero dunque nel segno della continuità, ma creativa, e, va da sé nutrita da esperienze diverse che finisco­no per segnarne percorsi e traguardi. «Montini ha vissuto nel suo ministero pa­storale a Milano il problema dell’urbane­simo, di persone che lasciate alle spalle si­tuazioni rurali o vissuti a misura d’uomo erano catapultate nelle metropoli, alle ca­tene di montaggio... Assistette a questo fe­nomeno e cercò di provvedere pastoral­mente affinché non andassero sciupati va­lori spirituali e culturali, non prevalesse insieme al disagio lo smarrimento – con­tinua Malnati –. Papa Ratzinger per la sua formazione teologica tende a sottolinea­re il recupero della verità della persona che non può essere tale senza la realizza­zione dell’equilibrio reale nel soggetto tra materia e spirito, per poi essere positiva presenza nell’impegno culturale e socia­le ». Come a dire non due ottiche antiteti­che, bensì complementari, in quanto la persona non può dare ciò che non ha ac­quisito. Due approcci che si fondono in uno e che, insieme, possono spronare la persona a realizzare la verità di se stessa, aiutandola a determinarsi anche per una polis davvero degna dell’uomo.
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