Paglia con la fotografia di Romero (Ansa)
Il prossimo 24 marzo saranno 37 anni dall’uccisione di Óscar Arnulfo Romero y Galdámez. L’arcivescovo di San Salvador stava celebrando la Messa nella cappella di un ospedale, quando un uomo gli puntò una pistola e sparò un colpo, fatale. Un’inchiesta delle Nazioni Unite ha poi appurato che si trattava di un sicario di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista Arena e che l’assassinio era stato voluto per le continue denunce delle violenze che vedevano coinvolte milizie paramilitari alle dipendenze dello stesso D’Aubuisson.
Quello di Romero è stato riconosciuto come martirio, assassinio in odium fidei, al termine di un travagliato processo canonico culminato con la beatificazione il 23 maggio 2015 a San Salvador. La notizia che si è diffusa nei giorni scorsi ed è stata confermata dal postulatore della causa di canonizzazione di Romero, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, è che è arrivata a Roma la documentazione su una guarigione inspiegabile, un presunto miracolo che sarebbe avvenuto per intercessione del vescovo beato. E che, se fosse confermato, potrebbe aprirgli in tempi inaspettatamente brevi la strada verso la canonizzazione.
«Si tratta di una donna del Salvador – spiega Paglia – che era alla sua settima gravidanza e che per una gravissima complicanza rischiava di perdere il bambino e di morire lei stessa. I suoi amici hanno pregato il beato Romero e dopo qualche settimana la donna non solo non è morta, ma ha potuto far nascere il bambino. Le cartelle cliniche, a giudizio dei medici, provano un evento straordinario, miracoloso. In base a queste prime indicazioni si è provveduto a istituire un tribunale diocesano perché iniziasse per un esame accurato dell’intera vicenda: esame dei dati e dei testimoni, ovvero la stessa donna, gli amici che avevano pregato per lei, i medici. Il processo si è concluso nei giorni scorsi e gli esiti sono stati inviati alla Congregazione delle cause dei santi, che dovrà a sua volta esaminarli per mano di esperti e teologi». Paglia si augura ovviamente che il tutto possa andare a buon fine e che Romero possa essere riconosciuto come santo. «È importante che si diffonda la sua devozione – dice – proprio perché la sua testimonianza si fa sempre più importante, esemplare, mentre risorgono conflitti in tante parti del Paese, mentre la violenza delle Maras, la gang criminali, sconvolge il Salvador e cresce per altro verso uno spirito di chiusura che porta ad alzare nuovi muri». Spesso viene dimenticato che in Salvador, prosegue Paglia, «ci sono ancora sacche di resistenza per quanto riguarda la memoria di Romero. La sua testimonianza era radicalmente evangelica e chiede di essere compresa in tutta la sua forza. Non a caso il Papa, nel ricevere i vescovi salvadoregni dopo la beatificazione, ha parlato di un martirio anche post mortem, per le opposizioni al suo riconoscimento ».
Intanto procede un’altra causa di beatificazione che rimanda sempre a Romero, quella del suo amico gesuita Rutilio Grande, assassinato il 12 marzo del 1977 insieme a due contadini, mentre si recava nella sua parrocchia per celebrare la Messa. «Il primo a essere contento di questa causa è certamente in Cielo lo stesso Romero – commenta Paglia – che vede questo suo amico, che fu una delle cause del suo impegno radicale per i più poveri, finalmente avviato anche lui verso la beatificazione. Per quello che posso sapere, il postulatore sta andando avanti abbastanza speditamente in processo avviato super martyrium, in odio a quella Chiesa uscita dal Concilio Vaticano II che concepiva la predicazione del Vangelo incarnato a partire dall’amore per i più poveri».
L’arcivescovo ricorda poi che «ci sono altri casi di guarigioni apparentemente inspiegabili, per l’intercessione di Romero, che sono state segnalate, anche provenienti da Panama. Ovvero il Paese in cui si svolgerà la prossima Giornata mondiale della gioventù proprio sotto l’egida di Romero».