Godeliève Mukasarasi è stata inserita tra i Giusti della Shoah e degli altri genocidi L’atto ufficiale il 3 marzo scorso a Milano - Screenshot da video
La preghiera è stato il sostegno a cui si è aggrappata nei lunghi giorni del genocidio ruandese del 1994, quando lei, Godeliève Mukasarasi e la sua famiglia, cercavano disperatamente di sfuggire alla furia omicida che ha attraversato il suo Paese e che ha spazzato via anche molti suoi parenti.
La preghiera, la fede e la dimensione spirituale hanno sempre ispirato e nutrito anche il suo impegno di questi anni, in cui si è dedicata con tutte le sue forze ad accompagnare e sostenere migliaia di donne vittime di stupro e i bambini nati da quelle violenze, oltre che moltissime vedove e orfani.
Grazie alla sua testimonianza e a quella del marito, che per questo è stato ucciso insieme alla figlia di 12 anni, ha contribuito a far condannare per genocidio dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda il sindaco della sua municipalità, prima condanna al mondo di questo tipo.
Godeliève Mukasarasi è stata riconosciuta lo scorso 3 marzo, tra i Giusti della Shoah e degli altri genocidi al Giardino del Monte Stella di Milano dall’associazione “Gariwo, la foresta dei Giusti”, insieme a Raphael Lemkin, giurista che ha formulato la definizione di genocidio, Henry Morgenthau, ambasciatore americano che aiutò gli armeni, Aristides de Sousa Mendes, console portoghese che favorì la fuga degli ebrei dalla Francia, Evgenija Solomonovna Ginzburg, testimone che raccontò il suo viaggio nel Gulag e Ilham Tohti, condannato all’ergastolo in Cina per la difesa dei diritti degli uiguri.
«La fede e la preghiera – dice Mukasarasi, pensando anche a quanto sta succedendo ora in Ucraina – hanno sempre rappresentato per me una grande forza: mi hanno aiutata a trovare pace e luce nel mio cuore, anche nei momenti più tragici. È quello che ho cercato di trasmettere pure alle altre donne che hanno subito violenze indicibili e che poi sono state rifiutate dalla società, specialmente se avevano messo al mondo i figli dei “nemici”. Per me, come per queste donne, era importante innanzitutto riconciliarci con noi stesse per superare il trauma, per non continuare a essere oppresse da quello che ci era successo, per non rimanere intrappolate in una spirale di odio e di vendetta. La riconciliazione con se stessi e con gli altri è indispensabile per costruire un futuro di convivenza e unità».
Godeliève racconta la sua storia con grande semplicità, ma quello che ha fatto in tutti questi anni, e che continua a fare, è qualcosa di straordinario. Assistente sociale, alla fine del genocidio, sente che deve fare qualcosa, anche se – ricorda – «mi sembrava che mi mancassero sia le forze fisiche che morali per reagire». Incontra molte donne che avevano subito perdite e violenze: «Ci raccontavamo le nostre storie e piangevamo insieme».
Dopo pochi mesi, decide di creare un’associazione, Sevota (Solidarietà per la promozione delle vedove e degli orfani in vista dell’impiego e dell’autopromozione), anche se non dispone di nessun aiuto. Si rivolge alla parrocchia, a un missionario spagnolo, alla municipalità; è la gente stessa che, spesso, contribuisce come può, con cibo, vestiti e piccole collette. Poi, col tempo, crescono anche la solidarietà e i riconoscimenti internazionali.
Nel 2018 le viene assegnato l’International women of courage award dal Dipartimento di Stato americano. Nel frattempo, Mukasarasi ha assistito oltre 70 mila persone, in gran parte donne vittime di violenze, vedove e bambine orfane costrette a sposarsi e tante altre ragazze e bambini in difficoltà. Un’opera che oggi porta avanti con una dei suoi figli.
«Ho conosciuto tanti momenti difficili – riflette –, ma mi sono sempre affidata a Dio. Lui non può tradirti. Se hai perso tutto, perché hanno ucciso la tua famiglia, hanno distrutto la tua casa, si sono impossessati dei tuoi campi, non puoi perdere anche la fede perché è qualcosa di potente che ti aiuta a non sprofondare nel buio, che mantiene accesa una luce dentro di te e ti permette di promuovere la solidarietà e lottare per la giustizia, la pace e la riconciliazione».