«Mai lavarsi la coscienza dando un euro al povero», disse quando compì 90 anni. «
Ma chiedersi cosa posso fare, nel mio piccolo perché non ci sia più povertà e mettersi in gioco. Ribellandosi alla stupidità, al falso, al convenzionale. Serve passione per la verità e l’autenticità».
Treviso piange monsignor Fernando Pavanello, morto a 97 anni. Ma si sente anche fortunata per averlo avuto in dono come sacerdote, parroco, direttore della Caritas, pioniere del volontariato, dell’impegno per disabili e malati di mente. La sua più grande soddisfazione è stata recente: l’approvazione della legge sul "Dopo di noi" che aveva immaginato ancora decenni fa, sfidando tutti con l’edificazione di alloggi per le comunità famiglia, bussando a ogni porta.
Uno dei canti alla Madonna che preferiva era "Andrò a vederla un dì..." e proprio nel giorno dell’Assunta - ricorda il suo amico Remo Cattarin, che ogni giorno gli faceva visita con la moglie -, alle prime luci del mattino, don Fernando ha raggiunto la casa del Padre. Nativo di Camposampiero, raccontava le vicissitudini di gioventù, l’ostilità che incontrò nel padre nel voler farsi prete. E poi le esperienze a Roma, alla Gregoriana, dove si laureò in filosofia diventando poi professore al seminario di Treviso. Uomo dalle idee innovative, talvolta non condivise dai superiori, venne inviato a Verona come rettore del seminario per l’America Latina, servizio che gli consentì di farsi amico dom Helder Camara.
«Mio nipote Luca è nato down – così spiegava il suo impegno per i disabili –. Allora nelle famiglie scattava la colpa, la coscienza di una sorta di castigo di Dio, la vergogna, la rassegnazione. Un piccolo gruppo di persone sensibili, credenti e non, si è attivato, abbiamo creato l’associazione delle famiglie: ci hanno aiutati il sindacato e un Dc sensibile come Armellin. Abbiamo girato, bussato alle porte. Ma non in un’ottica caritativa. Il secondo passaggio dev’essere sociale: chi non ha diritti deve prendere coscienza, diventare soggetto politico in senso alto e chiedere alla democrazia di rimuovere l’emarginazione, la diseguaglianza e dare opportunità. Abbiamo creato 5 case: lavorano, fanno le ferie, si integrano». Era il 2009.
Per le sue posizioni Pavanello ha dovuto fare i conti con l’accusa di "prete rosso". «Mai avuto bisogno di Marx – rispondeva – ho il Vangelo. La mia non è mai stata una fede facile, vengo da famiglia agiata, papà e zio anticlericali. In Cile, nel 1964, ho visto contadini scalzi in fila dal latifondista che regalava il pane e gli baciavano le mani. Quella non è carità, quel pane è dovuto per giustizia sociale. La Chiesa dovrebbe andare oltre certe dichiarazioni belle di principio e gridare. Ci siamo fatti espropriare, i profeti hanno sempre gridato contro chi abusa del debole».
«Don Fernando è uno che dice cose importanti – ha detto di lui l’arcivescovo Gianfranco Agostino Gardin –. Una volta Dio mandava gli angeli a comunicare il proprio messaggio, oggi ci parla anche attraverso alcune persone con una speciale spiritualità. Nel suo percorso ci sono diverse tappe e credo che la conoscenza del mondo dei poveri, soprattutto dell’America latina, abbia segnato la sua vita, quella di una persona che ha saputo raccogliere e raggiungere un’autentica maturità umana ed evangelica». Sarà lo stesso Gardin a celebrare le esequie in Cattedrale giovedì alle 10.