Una fotografia di Lucia Mantione, vittima di un tentativo d’abuso finito con la morte della ragazza - .
Non aveva ancora 13 anni Lucia Mantione, per tutti «Luciedda» a Montedoro (Caltanissetta), quando scomparve per tre giorni, il 6 gennaio del 1955, per essere ritrovata senza vita in un casolare diroccato alle porte del paese, e sepolta «senza tocco di campane» come dice un’antica canzone siciliana. Montedoro, il suo paese, che allora aveva poco più di 3.000 abitanti, quasi tutti contadini e zolfatai, oggi dimezzato dall’emigrazione che ha desertificato l’interno della Sicilia, ha mantenuto viva per tutti questi anni la memoria della vita innocente di quella ragazzina bellissima e povera, spezzata dalla violenza, a cui aveva resistito (come dimostrò l’autopsia), ma che non aveva avuto neppure un funerale religioso, negatole perché «morta di morte violenta» e quindi senza assoluzione e Sacramenti.
In quegli anni difficili del lungo dopoguerra, segnato da tanta povertà e conflitti sociali, con questa formula si evitavano i funerali ai morti in miniera - ammessi nelle chiese per le esequie religiose solo dopo la strage di Gessolungo nel 1958 -, e a Luciedda la formula era stata applicata alla lettera, nonostante le lacrime dei genitori, spiegata dalla memoria tramandata tra le famiglie del paese che parlava di paura e di omertà, di colpevoli 'eccellenti' e di una verità che non si doveva trovare. E nemmeno cercare. Dopo oltre mezzo secolo, uno studioso di Montedoro, Calogero Messana, coetaneo di Luciedda, ha raccolto insieme al fratello Federico in un blog, notizie, articoli, spezzoni di testimonianze sulla tragica vicenda, chiedendo la riesumazione della salma e la riapertura delle indagini: il suo furgone è stato incendiato.
È stato un segnale inquietante, dopo tanto tempo, ma forse decisivo per riaprire una pagina di cronaca che sembrava sigillata per sempre. Infatti la Procura della Repubblica di Caltanissetta ha deciso di riaprire le indagini sul delitto, affidandole ai Carabinieri, che stanno sottoponendo i resti riesumati della bambina ad esami del Dna, in cerca di nuovi elementi che all’epoca non si avevano gli strumenti per trovare. Molte cose non convincevano già quando il cadavere fu ritrovato: perfettamente asciutto dopo giorni di pioggia sul casolare dal tetto sfondato in cui l’avevano trovata, in cui probabilmente era stata portata già morta, le dita contratte come per afferrare qualcosa, anch’esse asciutte e pulite. Il rapporto con le indagini dei Carabinieri era stato consegnato alla Procura di Caltanissetta, ma di esso non c’è traccia: si disse andato perduto qualche anno dopo in un allagamento del magazzino in cui era custodito. Neppure nei registri parrocchiali era stato annotato nulla all’epoca del delitto.
Due anni fa il vescovo di Caltanissetta, Mario Russotto, accogliendo le richieste che da più parti erano venute da Montedoro, ha disposto la celebrazione di una Messa di riparazione per quel funerale mancato e la benedizione dei resti di Luciedda. Oggi il funerale nella chiesa madre di Montedoro, in presenza della bara con i resti mortali, e dopo 66 anni il paese riabbraccia 'la sua Maria Goretti', come tutti l’hanno sempre chiamata, coltivandone la memoria da una generazione all’altra, chiedendo per lei giustizia e rispetto. Senza fare mancare mai, per 66 anni, i fiori freschi sulla sua tomba, dove c’è anche la foto dei suoi genitori, emigrati per sempre dal paese.
Oggi all’ingresso di Montedoro c’è una panchina rossa, voluta dal Comune, per ricordare le donne vittime di violenza: è dedicata a Lucia Mantione. Un comitato di emigranti 'Montedoresi nel mondo' ha raccolto la somma necessaria ad una tomba più degna e un piccolo monumento che ricordi Luciedda, per sempre, ai suoi concittadini.