La morte del cardinale Martini non fermerà il cammino del dialogo ebraico-cristiano. La fedeltà alla sua memoria, piuttosto, ci chiama ad arricchire e approfondire il nostro comune impegno, nella direzione additata dal cardinale: che non parlava di incontro, ma di
re-incontro. Come a dire: veniamo dalla stessa radice, la storia ci ha divisi, ma siamo destinati a riavvicinarci. E quando il Signore vorrà, capiremo finalmente quello che ci resta ancora oscuro».Così Giuseppe Laras, rabbino capo di Milano dal 1980 al 2005, guarda alla morte del cardinale gesuita, grande biblista che ha guidato la Chiesa ambrosiana dal 1980 al 2002. Insieme hanno fatto un lungo tratto di strada. Sono stati fra i più generosi e credibili promotori dell’amicizia ebraico-cristiana. Il loro impegno ha avuto una risonanza che ha travalicato i confini di Milano. «Se il dialogo ebraico-cristiano nel mondo è potuto esistere, svilupparsi e coinvolgere persone, nonostante le molte difficoltà, lo si deve soprattutto al cardinal Martini, alla sua determinazione, alla sua forza morale e alla sua fede», aveva riconosciuto Laras venerdì scorso, appena ricevuta la notizia della scomparsa dell’amico cardinale. «Oggi è un giorno difficile», aveva detto, dando sfogo al «grande dolore» e alla «tristezza» provocati dall’annuncio.«Ma il dialogo non si ferma», ribadisce ora Laras. Anche perché di strada se n’è già fatta tanta, da quando aprirono la via precursori come Jules Isaac, «lo storico ebreo francese che incontrò Giovanni XXIII e sostenne il dialogo ebraico-cristiano, anche come deterrente contro l’antisemitismo e perché la tragedia della Shoah non si potesse mai più ripetere». E nel frattempo, sottolinea Laras, è sempre più chiaro a tutti che «obiettivo e orizzonte del dialogo non è la "conversione" dell’altro, o la disputa teologica, ma il tornare a riconoscersi come fratelli per affrontare, insieme, le sfide del nostro tempo come la guerra, l’ignoranza, lo sfruttamento, la povertà...».Se questi passi avanti sono stati fatti, è «grazie a persone illuminate e lungimiranti come Martini, a cui stanno a cuore le persone e il loro destino – scandisce Laras –. Per lui le religioni non dovevano essere più causa di scontro ma d’incontro. Quando arrivò a Milano come arcivescovo, ci trovammo subito d’accordo a dare nuovo impulso al dialogo. Nei primi anni ’80 Martini avviò un gruppo di studio chiamato
Teshuvà, "ritorno". All’incontro di inaugurazione, in una sala piena di gente, ci trovammo a commentare l’
Ascolta Israele, io nel quadro del Deuteronomio, lui – se ricordo bene – a partire dal Vangelo di Marco. Fu un incontro bellissimo. Altre occasioni feconde erano l’annuale Giornata per l’ebraismo. Fra di noi spesso ci parlavamo e confrontavamo. Essere entrambi torinesi, non lo nascondo, aiutò la nostra sintonia».L’esperienza del dialogo quale profilo di Martini ha rivelato a Laras? «Sul piano caratteriale – risponde il rabbino – appariva timido e austero, ma portava una ricchezza e un amore grandi per le persone e per le istituzioni in cui è impegnata la loro vita, che nella relazione con lui venivano pienamente alla luce. Sul piano dei contenuti: era concentrato più sulle dimensioni etiche e sociali del dialogo, che su quelle teologiche. Sul piano spirituale, capivi di essere davanti a un uomo di grande fede. Proprio per questo si poneva spesso le grandi domande sulla vita, la sofferenza, la morte, la resurrezione. Questioni che la malattia gli mise davanti in modo ancora più drammatico. Non è vero che gli uomini di fede non hanno paura di morire. Ma la sua fede gli permetteva di essere un uomo capace di spaziare dal cielo alla terra. Lui credeva nelle persone, nella possibilità di migliorare il mondo. Era un ottimista. Era generoso. Sapeva pensare in grande. Così non fosse, non ti impegneresti in un’impresa come il dialogo, dove sai che non sarai tu ma altri, dopo di te, a raccogliere il frutto di quel che hai seminato».L’ultimo incontro con Martini: a giugno, all’Aloisianum di Gallarate. «Nel disfacimento del corpo, il suo sguardo restava vivo, profondo, azzurro. Ci siamo scambiati un segno di benedizione. Con me c’era don Gianantonio Borgonovo, dottore dell’Ambrosiana. Un incontro commovente, che resterà indelebile nella nostra memoria». La comunità ebraica di Milano ha proposto al Comune di dedicare a Martini i Giardini della Guastalla. «Sono collocati fra la Sinagoga, il tempio valdese, la sede dell’Università statale e il Policlinico. Sarebbe un gesto dallo straordinario valore simbolico».