L'arcivescovo di Milano Mario Delpini - .
10 diocesi, 200 giovani, 14 vescovi e altrettanti tavoli per parlarsi su 5 grandi temi. È il progetto «Giovani e Vescovi» voluto dalla Conferenza episcopale lombarda e progettato da Odielle (Oratori Diocesi Lombarde, sotto la direzione di don Stefano Guidi), che oggi vive il suo evento di lancio nel Duomo di Milano per una giornata di condivisione: i giovani in rappresentanza di oratori, associazioni e realtà giovanili di base della regione avvieranno un dialogo con le Chiese lombarde su cinque temi (vocazione e lavoro; affetti, vita e dono di sé; ecologia; riti; intercultura) attorno a tavoli dentro il Duomo – ognuno con un vescovo e alcuni giovani – per aprire una stagione di confronto che vuole mettere la Chiesa in ascolto e i giovani in movimento per incontrarla.
«Dio c’è. Tu vali. La tua vita è una vocazione ad amare che viene da un amore che ti ha generato. Non sei mai solo. Ecco quello che i giovani forse non riescono a percepire in tutta la sua carica promettente e insieme rivoluzionaria, capace di scuotere questa società vecchia, che vive di paure, che non ama i bambini. Credo sia questa la vocazione dei giovani d’oggi». Così parla l’arcivescovo di Milano Mario Delpini alla vigilia dell’evento inedito che si svolge stamani in Duomo: 14 vescovi e 200 giovani da tutta la Lombardia, raccolti attorno a 14 tavoli, in dialogo su cinque grandi aree tematiche.
Perché come vescovi delle diocesi lombarde avete voluto questa iniziativa?
I vescovi sono gente appassionata del fuoco. In questa società che ama il rumore, la frenesia del giorno, il divertimento della notte, in questo clima orientato al buio e al freddo, noi vescovi vorremmo che la gente, ma in particolare i giovani, fossero contagiati da un fuoco che regala luce e calore, perché regala il Vangelo.
Qual è l’obiettivo di questo incontro?
È quello espresso nell’esortazione apostolica di papa Francesco Christus vivit: per evangelizzare i giovani, ci vogliono i giovani. Sono loro i responsabili della fede dei loro coetanei. Fede vuol dire una speranza per vivere, una gioia da condividere, una carità da praticare. Noi avremo realizzato un incontro fruttuoso se avremo acceso nei cuori di questi ragazzi un fuoco che rimane vivo perché accende altre lampade e altre speranze.
Perché avete scelto il Duomo di Milano?
Il nostro Duomo è costruito per l’Eucaristia e per la preghiera. La sua struttura è orientata all’altare. Ma stavolta non siamo qui per celebrare, adorare, meditare. Questo evento inedito è un modo per dire ai giovani: questa è casa vostra, parlate anche voi. Non più spettatori muti, un po’ imbarazzati e annoiati, delle prediche di preti e vescovi, ma gente che ha dentro una voglia di comunicare, una critica da presentare, una disponibilità da offrire. Così il Duomo – con la sua folla di statue di santi – non è più solo il luogo della storia che abbiamo vissuto, ma il luogo che contiene la storia da fare. Vogliamo capire come la comunità dei giovani interpreta gli elementi fondamentali della vita cristiana riassunti nelle aree tematiche scelte per questo dialogo.
Una prima area associa le parole "vocazione" – qui riferita a tutti, non solo a preti e suore, com’è di solito – e "lavoro". Perché?
Perché ogni storia è risposta a un’annunciazione. E questo non riguarda solo la vocazione di Maria di Nazareth, o dei preti, o dei consacrati. L’annunciazione può essere per tutti – anche per un giovane – un angelo che viene da Dio, può essere l’impatto di un evento che provoca a prendere posizione, può essere un’amicizia che condivide una proposta, o un’interpretazione di sé e dei propri talenti come responsabilità. Ecco: l’annunciazione non è un evento semplicemente straordinario che viene da una fonte misteriosa, ma è la provocazione della vita in cui noi credenti sappiamo che opera lo Spirito di Dio. C’è una annunciazione e c’è la nostra risposta. Che diventa poi concretamente scelta di uno stato di vita, di un impegno – nella vita familiare, nella carità, nel sociale, nella politica...
Una seconda area tematica è riassunta in una parola forse un po’ desueta: "intercultura".
"Intercultura" vuol dire che noi immaginiamo questa società come un luogo dove si confrontano e dialogano persone di culture diverse. In questo ci sono due aspetti. Il primo: avere la consapevolezza della propria cultura e identità. Dunque: diventa importante, per noi, conoscere la storia del nostro Paese, la nostra tradizione cristiana, l’umanesimo italiano ed europeo, sapere chi sono, e quale idea di uomo e di donna, di democrazia, di cultura, di vita eterna, ho da dire a chi viene da altre terre. Il secondo aspetto è invece il desiderio dell’incontro, l’attenzione a quello che gli altri hanno da offrire, la capacità di entrare in dialogo – nel caso dei giovani – con coetanei che vengono da altri Paesi per l’università, o per lavoro, o perché in fuga da situazioni drammatiche.
L’area tematica "affetti, vita e dono di sé" rimanda a parole come "amore" e "famiglia" che sono invece ben familiari anche ai giovani...
Sì, gli affetti sono un tema inesauribile sul quale credo sia prezioso introdurre un po’ di sapienza, una capacità di ragionare, di imparare una disciplina e una grammatica, perché la tendenza oggi troppo diffusa è a considerare gli affetti come qualcosa che va e viene e di cui non siamo padroni. Ma procedere in modo superficiale e distratto in questi ambiti significa non portare frutto, creando premesse per rapporti imprevedibili e precari, per solitudini, talvolta per tragedie... Nella tradizione cristiana troviamo tre categorie: l’amore erotico, l’amore agapico e l’amore di amicizia. Tre dinamiche dell’amore tutte da coltivare e saper valutare criticamente.
Altra area tematica è riassunta nella parola "riti".
È il tavolo a cui sono iscritto io. "Rito" vuol dire interpretare la vita non come insieme di cose ma di messaggi, di segni dell’oltre. Nel rito il pane non è solo pane, il vino non è solo vino: ogni elemento diventa messaggio, invito, provocazione. E anche questo ha bisogno di una grammatica. Nella celebrazione dell’Eucaristia, il rito centrale della vita cristiana, le cose sono chiamate a diventare addirittura segno del mistero di Dio. Ma questo vale per tutte le realtà della vita. Anche l’amore ha bisogno di riti: non è solo un "fare l’amore", ma è interpretare il rapporto tra donna e uomo come una vocazione e un messaggio. Il rito trasfigura la visione sulla realtà.
"Ecologia" è invece una parola ben presente nella vita, nella sensibilità, talvolta nell’impegno dei giovani...
"Ecologia" è una parola che va qualificata. Il Papa ci chiama a essere promotori e custodi dell’ecologia integrale: che non riguarda solo il rispetto per la natura, le piante, gli animali, riguarda anche l’uomo. "Ecologia integrale" vuol dire apprendere l’arte di vivere su questo pianeta sentendo la responsabilità di custodirlo, di renderlo abitabile, anzi, di renderlo desiderabile come luogo in cui gli uomini e le donne possono vivere. Nella Laudato si’ il Papa ha sentito il bisogno di parlare di ecologia integrale, perché c’è anche un’ecologia che immagina che il mondo sarebbe migliore senza l’umanità... Dall’ecologia integrale nasce una responsabilità. E alla gente che grida in piazza contro il degrado del pianeta noi preferiamo giovani che si interrogano sul proprio stile di vita, che sottopongono a vigilanza critica le proprie scelte di cittadini, di consumatori, di lavoratori, il loro impatto sull’ambiente e sugli altri – si pensi allo sfruttamento del lavoro minorile – e che fanno le loro scelte, anche se chiedono un prezzo da pagare.
Cosa la affascina e cosa la preoccupa dei giovani d’oggi?
I giovani che conosco sono sinceri, intelligenti, disponibili ad ascoltare, hanno competenze molto alte, salute, bellezza, condizioni promettenti... E tutto questo mi sembra motivo di ammirazione. Quello che mi sembra manchi un po’ è l’idea che la vita sia una vocazione. E cioè che si vive non per aspettare che capiti qualcosa o per inseguire miraggi, ma per rispondere a un amore che chiama ad amare. La vita dei giovani è piena di incertezze. Ma ci sono certezze che si possono acquisire e danno fiducia alla vita: Dio c’è, ti accompagna sempre. E tu vali. Sei all’altezza della vita. Puoi vivere bene. E facendo del bene.
Se fosse uno dei 200 giovani in Duomo, cosa direbbe al suo vescovo?
Di darmi una ragione per vivere, per sperare, per fare della mia vita qualcosa che valga: non un parcheggio dove aspetto di vedere da che parte è l’uscita, ma un correre su una strada per raggiungere una meta.
Da giovane, cosa l’ha convinta a scegliere senza riserve la via del sacerdozio?
Il riferimento a Gesù. Quello che ho sempre chiesto alla Chiesa: che mi dica dov’è Gesù, come si fa a incontrarlo e a vivere per lui. Riguardo al sacerdozio: c’è una corrispondenza fra le mie attese, i miei desideri, le mie risorse, e quello che il prete fa. Questo mi ha fatto sembrare semplice scegliere di fare il prete e vivere da prete per tutti questi anni.