Per la prima volta Francesco conferisce le onorificenze pontificie a due giornalisti “decani” della Sala stampa. Oggi in quattro diocesi italiane la Giornata del quotidiano dei cattolici nel segno della riflessione - Vatican Media
«Al giornalismo si arriva non tanto scegliendo un mestiere, quanto lanciandosi in una missione, un po’ come il medico, che studia e lavora perché nel mondo il male sia curato». E, invitando a coltivare questo senso della missione, che è all'origine della professione giornalistica, papa Francesco ha spiegato che la missione è quella di «spiegare il mondo, di renderlo meno oscuro, di far sì che chi vi abita ne abbia meno paura e guardi gli altri con maggiore consapevolezza, e anche con più fiducia». Ed è una missione non facile. Perché «è complicato pensare, meditare, approfondire, fermarsi per raccogliere le idee e per studiare i contesti e i precedenti di una notizia».
Le parole di papa Francesco sono risuonate sabato mattina nella Sala del Concistoro in occasione della consegna delle onorificenze pontificie a due esperti giornalisti, “decani” dell’informazione sulla Santa Sede: la messicana Valentina Alazaraki, che da «giovanissima era salita sull’aereo che portava San Giovanni Paolo II a Puebla nel 1979», e Philip Pullella della Reuters, ben noto veterano. «Siamo compagni di viaggio», ha detto il Papa conferendo loro il titolo – per la prima volta dato ai giornalisti – di “Dama” e “Cavaliere” di Gran Croce dell’Ordine Piano. «Sono lieto di accogliervi qui – ha detto – dopo che tante volte ci siamo incontrati nel corridoio degli aerei, durante le interviste in alta quota, o di passaggio durante le varie celebrazioni e i diversi appuntamenti dei pellegrinaggi apostolici nel mondo».
Salutando il Papa, Valentina Alazaraki ha coinvolto i colleghi nella consegna del premio ricordando i momenti in cui per lavoro è stata lontana della famiglia, mentre Philip Pullella ha sottolineato che il riconoscimento ricevuto è anche ai colleghi che lo hanno preceduto e da cui ha imparato. E alla presenza dei dirigenti del Dicastero per la comunicazione, degli ex direttori della Sala Stampa e a una trentina di giornalisti invitati tra gli accreditati alla Sala Stampa della Santa Sede, papa Francesco ha incoraggiato a coltivare il senso di missione. Lo ha fatto con una breve lezione su tre verbi che possano caratterizzare il «buon giornalismo»: ascoltare, approfondire, raccontare. «Ascoltare» perché «il buon giornalismo ha bisogno di tempo. Non tutto può essere raccontato attraverso le email, il telefono, o uno schermo». «Approfondire» che è «il contributo più grande». E «raccontare» ciò che accade, «la realtà che è un grande antidoto contro tante “malattie”», perché «significa non mettere se stessi in primo piano, né tantomeno ergersi a giudici, ma lasciarsi colpire e talvolta ferire dalle storie che incontriamo».
Al termine il Pontefice ha chiesto per favore ai giornalisti di ricordare sempre questa verità che più volte ha rimarcato quando si parla della Chiesa e cioè che: «La Chiesa non è un’organizzazione politica che ha al suo interno destra e sinistra come accade nei Parlamenti». A volte, invece, viene ridotta proprio a questo. «La Chiesa – ha riperso – non è una grande azienda multinazionale con a capo dei manager che studiano a tavolino come vendere meglio il loro prodotto. La Chiesa non si auto-costruisce sulla base di un proprio progetto, non trae da sé stessa la forza per andare avanti, non vive di strategie di marketing». E se cade in questa tentazione mondana «e tante volte cade o è caduta – ha ripetuto ancora il Papa – dimentica di essere il mysterium lunae di cui parlavano i padri dei primi secoli, e così la sua azione perde vigore e non serve a nulla». Il Papa ha voluto sottolineare come la natura della Chiesa non sia ascrivibile a nessuna altra categoria, riconoscendo che seppure è composta da uomini e donne peccatori come tutti «è nata ed esiste per riflettere la luce di un Altro, la luce di Gesù, proprio come fa la luna con il sole» ed «esiste solo per portare al mondo la parola di Gesù e per rendere possibile oggi l’incontro con Lui vivente».