Il futuro si costruisce insieme e insieme si superano le difficoltà - Reuters
La cultura contemporanea non è nemica della fede, ma il significato delle parole "cristiane" va spiegato con attenzione perché possano continuare a giocare il loro ruolo. Ne è convinto Giovanni Salmeri, docente di storia del pensiero teologico a Tor Vergata e di storia della filosofia al Pontificio Istituto teologico "Giovanni Paolo II" per le scienze del matrimonio e della famiglia.
I vescovi parlano del rapporto verità e libertà, coniugando questo binomio con altri tre concetti: amore, responsabilità e verità. Perché oggi è necessario rispiegare questi valori?
Mi pare che il problema sia universale: le parole con il passare del tempo vengono usate in maniera differente e, come si usa dire, "il significato di una parola è il suo uso". In più, alcune passano di moda e appaiono legate ad un mondo passato, mentre altre vengono introdotte e appaiono come il simbolo di una sensibilità più moderna. Modificare il linguaggio è anche uno strumento di potere: è geniale l’intuizione di George Orwell che in 1984 descrive la "neolingua" come lo strumento di una dittatura. Non bisogna vedere paranoicamente complotti dappertutto, né vedere la cultura contemporanea come nemica, ma essere attenti ad usare e spiegare le parole sì. La tradizione cristiana ha certamente le sue parole: che vi sia un invito a ricordare questa storia e a credere che ancor oggi possa giocare un suo ruolo mi pare giusto. Il rischio è altrimenti che il discorso cristiano cada nell’insignificanza totale. Un cristianesimo che dice le stesse identiche cose di altri, e magari solo con qualche decennio di ritardo, non serve a nessuno.
Ma come mai oggi l’idea di libertà, più che a un progetto di impegno, è spesso coniugata con una volontà di assoluta autodeterminazione?
Ogni discorso sulla libertà si muove tra diversi poli: per esempio quelle delle condizioni esterne di esercizio (in una dittatura si è meno liberi che in una democrazia, per esempio), quello della capacità personale (allora si può dire che quella "è una persona libera"), quello di un’affermazione antropologica di principio (secondo cui "l’uomo è un essere libero"). La nostra epoca, nel mondo occidentale, spesso è il primo aspetto quello più sottolineato. Il problema è che a volte la libertà risultante è un’illusione: quante centinaia di libere dichiarazioni di assenso (anche solo all’uso dei cookies) ognuno di noi deve ridicolmente sottoscrivere in nome della propria autodeterminazione, senza però poter sapere o capire nulla delle poste in gioco? E anche le "liberazioni" celebrate nei decenni scorsi sono state veramente e solamente tali? Pasolini negli anni 70 vedeva nella liberazione sessuale l’espressione di una cultura dai «tratti feroci e sostanzialmente repressivi», in cui tutto vuole essere deciso «con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto»: non credo che esagerasse molto. Mi pare comunque difficile negare che questo squilibrio nella concezione della libertà, proprio perché vede ogni legame come una minaccia, vada a danno dei legami umani e quindi della logica stessa della vita, che nasce ed esiste solo nei legami. Senza nulla perdere delle conquiste dell’età contemporanea, credo che un nuovo bilanciamento debba essere cercato.
Quali punti occorre tenere presenti per educare all’uso ragionevole della libertà?
È un problema enorme. Un punto di partenza potrebbe essere questo: il fatto che, almeno a dar retta ad un’enorme tradizione filosofica e anche teologica, il desiderio fondamentale degli esseri umani non è essere liberi: è essere felici. Io sono tra coloro che pensano che le restrizioni alla libertà personale per motivi sanitari siano state in questi mesi eccessive: ma trovo ciononostante significativo che una recente indagine abbia accertato che la maggior parte degli italiani sono pronti a cedere porzioni di libertà in cambio di maggiore sicurezza e salute. Insomma, si percepisce che c’è qualcosa di più importante rispetto al poter fare ciò che si vuole. Credo che a volte per rimettere in prospettiva tante cose basterebbe rivolgere la semplice rivoluzionaria domanda: "Ma facendo questo sei più felice o no?". Quando la tradizione cristiana insisteva tanto sull’obiettivo della vita eterna, in fondo non faceva altro che mettere davanti agli esseri umani l’obiettivo di una felicità così grande da essere in grado di infrangere anche il muro della morte.