Il cardinale Mauro Gambetti, frate minore francescano conventuale, ora arciprete della Basilica di San Pietro
Domenica sera sulla facciata della Basilica di San Pietro a Roma sarà proiettato un videomapping che racconta la vita del Pescatore di Galilea. Il cantante Andrea Bocelli inaugurerà la serata mentre l’attore Flavio Insinna sarà la voce narrante dell’Apostolo. Si alterneranno immagini tratte dai più importanti repertori iconografici della Basilica e dei Musei vaticani. Si tratta di un progetto nato grazie alla collaborazione del Capitolo, della parrocchia, della Fabbrica di San Pietro e della Fondazione Fratelli tutti. Un progetto che si inserisce in un percorso per rendere più “santuario” e meno “museo” la Basilica vaticana e dare quindi «più luce al volto della Chiesa». Avvenire ha intervistato il cardinale Mauro Gambetti, frate minore francescano conventuale, ora arciprete della Basilica di San Pietro dopo essere stato per anni il custode del Sacro Convento di Assisi.
Eminenza, qual è il significato di questa iniziativa?
Rendere più chiaramente la Basilica di San Pietro un luogo rivelativo che possa trasmettere alle persone i significati che custodisce, legati al carisma di Pietro e dei suoi successori. Quindi, da una parte, c’è il tentativo di rendere sempre più santuario questo luogo, con il culto, con l’accoglienza dei pellegrini, con una pastorale adeguata. Dall’altra, c’è la necessità di raccontare questi significati attraverso altri linguaggi e comunicarli a più persone possibile.
Questo è un desiderio dell’arciprete ma immagino anche quello del Papa…
Certamente. È una delle cose che mi ha chiesto quando mi ha nominato. Il mio predecessore, il cardinale Angelo Comastri – con le sue grandi qualità pastorali, con la sua arte oratoria, con la sua profonda spiritualità – ha già portato una ventata in questo senso. Ora il Papa desidera che si insista nel promuovere San Pietro come un santuario, evitando il rischio che possa diventare un museo.
In che senso?
Qui è prevalente la presenza di turisti che sono attratti, ma anche distratti, dalla monumentalità della Basilica. Sono 40/50mila persone al giorno, spesso accompagnati da guide. Questo inevitabilmente crea un clima quasi museale. Con problemi seri per chi vuole accedere, venire per pregare o per partecipare alle liturgie. E che, ad esempio, non possono mettersi in fila per entrare e magari dover fare più di un’ora di fila.
Come ovviare a questo problema?
Stiamo facendo dei tentativi progressivi per rendere la Basilica più facilmente fruibile dai fedeli che vengono per pregare con delle corsie preferenziali distinte dai turisti. E poi con nuove proposte di devozione e spiritualità. Ad esempio, stiamo studiando un momento di preghiera almeno a mezzogiorno nell’Altare della Confessione di Pietro, per mantenere viva la percezione che siamo dentro la chiesa che custodisce la tomba del principe degli Apostoli. Anche il videomapping “Seguimi” si inserisce in questo contesto.
Cioè?
La vita di Pietro proiettata sulla facciata illumina la Basilica. Dall’altro lato è la Basilica che illumina Pietro e la sua vita. Questo intreccio credo possa dare più luce al volto della Chiesa, perché abbiamo bisogno di riscoprire quest’uomo, la sua storia di sequela di Gesù, il suo carisma che poi si è trasmesso ai suoi successori, fino ad oggi.
Questa iniziativa avrà poi un seguito?
Certamente. Anche in altri campi, come quello scritturistico e teologico, storico e letterario. Avremo infatti, in collaborazione con il cardinale Gianfranco Ravasi, una Lectio Petri che a partire dal 25 ottobre mensilmente approfondirà la vita di Pietro e il suo ministero. Non solo. Insieme al cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, stiamo approntando un itinerario petrino nell’Urbe per riscoprire quei luoghi, ne abbiamo individuati sette, della Città Eterna che sono legati alla vita terrena di Pietro. Un itinerario che si concluderà la sera del prossimo 28 giugno, vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo, con una veglia qui, su quello che era il Colle Vaticano, luogo del martirio del primo degli apostoli.
Lei è arciprete della Basilica vaticana, ma anche presidente della Fabbrica di San Pietro. In questa veste ha lanciato un’iniziativa concreta, come una scuola di arti e mestieri. Com’è nata?
La spiritualità, quando è autentica, è molto concreta. Tocca nel vivo la nostra carne e le nostre azioni, il nostro vissuto, anche economico. Così nella Basilica viviamo la dimensione cultuale e pastorale, mentre la Fabbrica si occupa dell’aspetto materiale, con un carico di tradizione ed esperienza che vorremmo sviluppare anche attraverso questa scuola.
Già nel Settecento ce n’era una…
Sì. Con aspetti interessanti in campo giuslavoristico. Chi lavorava per la Fabbrica aveva un sistema di welfare di assoluta avanguardia per l’epoca. E il trattamento economico delle donne lavoratrici era uguale a quello degli uomini.
Qual è lo scopo di questa scuola?
Intanto formare giovani che possano dare continuità alle professioni manuali – a rischio di estinzione – di cui ha bisogno la Fabbrica. Ma poi anche di preparare ragazzi e ragazze di Paesi disagiati che possano poi esercitare queste arti nella loro patria.
Quanti saranno i primi alunni?
Partiamo con numeri piccoli, saranno 20, a cui garantiremo la gratuità di tutto il percorso didattico, nonché il vitto e l’alloggio. In tre settori: marmisti e scalpellini; muratori, stuccatori e decoratori; falegnami.
Insieme a queste iniziative che riguardano la Basilica e la Fabbrica è nata anche la Fondazione Fratelli tutti. Qual è il senso di questa iniziativa?
Abbiamo sentito il bisogno di qualcuno che stesse, per così dire, “sulla soglia”. Per incontrare il mondo. Che ci fosse un qualcosa che in qualche modo incarnasse il Colonnato del Bernini, un qualcosa di accogliente, ma allo stesso tempo proteso verso chi è fuori. Un luogo insomma che consenta alla gente di qualsiasi credo o religione di incontrarsi e di parlarsi avendo come orizzonte l’enciclica Fratelli tutti. Perché la Chiesa è davvero la paladina di una fraternità universale. Perché la fraternità è un valore squisitamente umano, ma ci vuole un principio trascendente, una luce dall’alto perché sia possibile viverlo. Altrimenti, nonostante le buone intenzioni, spesso si distorce nel suo esatto contrario.