Il Papa con Edith Bruck - Ansa/Vatican Media
Alla vigilia c’era un po’ di agitazione, come sempre accade quando c’è da accogliere un ospite di riguardo: e che cosa gli offriamo, e dove lo facciamo sedere, e l’ascensore non sarà troppo piccolo? Poi, quando sabato pomeriggio il Papa è arrivato sul pianerottolo della casa romana di Edith Bruck, tutto è diventato semplice, familiare: «Lo aspettavo sulla porta, non appena l’ho visto mi sono portata la mano sul cuore e sono scoppiata a piangere», racconta la scrittrice ebrea di origine ungherese, che con l’autobiografico Il pane perduto (edito da La nave di Teseo) è candidata al premio Strega. «Poi, mentre lo accompagnavo lungo il corridoio, è stato lui a ripetermi: “Respira, respira profondo”. Voleva che mi calmassi. A quel punto era lui a preoccuparsi che fossi a mio agio. Siamo rimasti insieme per quasi due ore. Un incontro straordinario, indimenticabile».
Che cosa l’ha colpita di più in Francesco?
Il profondo senso di umanità e di dolcezza che si sprigiona naturalmente dalla sua persona. Me n’ero già resa conto nel 2016, quando il Papa aveva visitato la Sinagoga di Roma. Noi sopravvissuti alla Shoah eravamo in prima fila e lui aveva voluto salutarci personalmente, uno per uno. Era stato una scambio di pochi istanti, che però mi aveva già impressionato. Ricordo che, stringendogli la mano, avevo provato una sensazione di autenticità, di partecipazione sincera.
Di che cosa avete parlato l’altro giorno?
Del valore della memoria, che oggi è ancora più necessaria di quanto fosse trenta o quarant’anni fa. E del pericolo che il mondo diventi di nuovo preda di nazionalismi, razzismi e populismi. In più di un’occasione, durante il colloquio, il Papa è tornato a chiedere perdono per la persecuzione di cui il popolo ebraico è stato vittima. Ha voluto portarmi in dono una menorah e un’edizione bilingue del Talmud Babilonese, io ho ricambiato con un mio libro di poesie e con un inedito che uscirà a breve in una nuova raccolta. Sapevo che Francesco conosceva l’intervista pubblicata il mese scorso dall’Osservatore Romano, ma non avevo idea che nel frattempo avesse letto Il pane perduto. Ha insistito molto sui “punti di luce”, come li chiama lui, ossia sui momenti nei quali, pur nell’orrore del lager, ho sperimentato la bontà degli esseri umani.
Come quando un cuoco le ha chiesto il suo nome?
Sì, ha chiesto il nome a me, che ormai ero solo un numero, poi mi ha detto di avere una bambina della mia età e mi ha regalato un pettinino. Il Papa è rimasto molto impressionato da questo dettaglio: «Avrei voluto essere io a darle quel pettine», ha confessato.
Francesco nel salotto della scrittrice - Ansa/Vatican Media
Nel libro c’è una lettera a Dio...
L’ho scritta di getto, ma l’avevo in mente da quando avevo nove anni. Sa, è una tendenza tipica dell’ebraismo, questa di interrogare, di interrogarsi. Francesco mi ha assicurato che approva quel testo: è giusto affrontare il dubbio, mi ha spiegato, è giusto continuare a cercare la risposta anche quando si ha l’impressione di vagare nel vuoto. Nella lettera, inoltre, ringrazio per essermi salvata dalla tentazione dell’odio. Per me è il significato di tutta l’esistenza: rifuggire dall’odio, nutrire pietà per la vita in ogni sua forma, in ogni respiro, in ogni battito del cuore.
Pensa agli anziani?
Per dieci anni ho assistito mio marito, Nelo Risi, malato di Alzheimer. In un certo senso era come se in lui accudissi i miei genitori, che non ho visto invecchiare perché sono morti ancora giovani nei campi di sterminio. Un’esperienza straziante e meravigliosa, nella quale mi sono sentita guidata proprio da Nelo, che era capace di costruire una scaletta per permettere a un topo di lasciare casa nostra senza che dovessimo dargli la caccia. Di recente, sono stata chiamata a far parte della commissione ministeriale per la riforma dell’assistenza agli anziani e sono rimasta molto turbata dal dibattito sui criteri in base ai quali assicurare le cure in tempo di pandemia. Il pericolo che gli esseri umani siano trattati come scarti non è del tutto scongiurato, purtroppo.
Come vi siete congedati con il Papa?
Mi ha chiesto quand’è il mio compleanno. «Il 3 maggio», gli ho risposto. «Allora ci rivediamo», mi ha promesso.