lunedì 19 marzo 2012
​L’astinenza è una delle più antiche pratiche legate al periodo penitenziale di preparazione alla Pasqua. Nelle riflessioni di un monaco eremita il significato di questa pratica: la prima rinuncia è quella al peccato.
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​Nel prefazio del Mercoledì delle Ceneri il digiuno è descritto come la via che aiuta a «vincere le passioni, elevare lo spirito e infondere la forza». Benedetto XVI lo ha definito «un’arma spirituale» e lo ha indicato come «terapia» che «contribuisce a conferire unità fra corpo e anima». Insieme con la preghiera e la carità, l’astinenza dal cibo è una delle pratiche penitenziali che la Quaresima propone per «sconfiggere il male», come verrà annunciato nella Veglia pasquale. «Certo, l’osservanza del digiuno non è un atto masochistico. Non è mortificazione, ma "vivificazione" perché è opera positiva personale e comunitaria», spiega l’eremita camaldolese don Paolo Giannoni.Nella sua «oasi» di preghiera e incontro, a Mosciano, sopra Firenze, il religioso ha fra le mani la Bibbia. E già nelle prime pagine della Scrittura il Signore comanda all’uomo di non consumare il frutto proibito. «La prima forma del digiuno – afferma don Giannoni – è quella dal peccato. In quest’ottica il tempo favorevole che porta alla Pasqua ci permette di comprendere che il medico non ci ferisce ma ci guarisce».Nei Vangeli il digiuno torna più volte. Dopo i quaranta giorni che Gesù trascorre nel deserto, risponde a Satana che «non di solo pane vivrà l’uomo». «Il digiuno – sottolinea il camaldolese – consente di accogliere la ricchezza di un "oltre" della grazia. Facendo un ulteriore paragone medico, aggiungerei che non basta vincere la malattia, ma occorre avere forza. Ecco l’"oltre" penitenziale che sprona al cambiamento. Ma il Signore ci dona anche un "oltre" di gloria con la trasfigurazione: a tutti noi è dato di essere conformati a Dio». Un invito alla conversione che «esclude ogni esibizione e ostentazione. Ce lo dice in particolare la Quaresima che esorta ad avere l’atteggiamento silenzioso e nascosto di Gesù». È quanto si legge nel Vangelo di Matteo quando Cristo raccomanda di profumarsi il capo e lavarsi la faccia per non essere ipocriti.La scelta di privarsi del cibo ha un ulteriore significato: sollecita a prendersi cura delle situazioni di difficoltà e a coltivare lo stile del Samaritano. «Il digiuno – precisa don Giannoni – è impegno di compassione, prima di tutto unendoci alla passione del Signore. La comunione nella preghiera ci lega a Cristo, specie nell’Eucaristia. Da qui viene la seconda comunione, quella con i fratelli sofferenti».L’eremita suggerisce un percorso da seguire, rifacendosi alla spiritualità del suo Ordine. «Accettiamo la proposta educativa di san Benedetto il quale ricorda che almeno in Quaresima possiamo abbracciare la vita secondo austerità. Perciò anche l’astinenza non sia soltanto da cibi e bevande. Ci può essere quella dal sonno, anche se forse è bene l’opposto nel senso di allungare il tempo del riposo invece di passare troppe ore davanti alla tv. Oppure può essere consigliata la rinuncia alla loquacità, vale a dire alle chiacchiere e al rumore, all’uso compulsivo del computer, all’invio di messaggini superflui. E c’è anche un’astinenza dallo svago che può avere il volto dello schermo, della discoteca o delle feste. Di fatto il Signore presenta il paradosso di un diminuire aggiungendo qualcosa al consueto impegno del nostro servizio. Così il digiuno porterà a un "di più" superando il nostro "troppo"».Una strada che può essere declinata anche a livello parrocchiale. «Alla liturgia di queste settimane possiamo dare un tono austero con alcuni "santi segni" come l’assenza di fiori o il silenzio musicale. Inoltre, di fronte a raccolte talora sbrigative, può essere favorita una forma di Quaresima familiare con piccoli gesti in casa: come al venerdì una preghiera durante la cena o al martedì un pasto frugale in comunione con i poveri».Un’indicazione arriva persino dall’attuale situazione economica. «Il Censis – spiega don Giannoni – ci fa cogliere la sorpresa di una mentalità che torna ai valori autentici e abbandona il consumismo. La crisi diventa, quindi, benedizione per conformarci alla volontà di Dio». Tutto ciò genera tristezza? «No – conclude il camaldolese –. Dall’energia dello Spirito di Dio il cuore ha una creativa ricchezza e sperimenta che "si è più beati nel dare che nel ricevere", come annotano gli Atti degli Apostoli».
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