sabato 8 aprile 2023
Pur senza i grandi numeri del Natale, in Italia cresce la tradizione degli allestimenti dedicati alla Passione, alla morte e alla Risurrezione di Cristo
L'ultima scena del presepe pasquale di Carpesino di Erba, con la riproduzione della Sindone

L'ultima scena del presepe pasquale di Carpesino di Erba, con la riproduzione della Sindone - Collaboratori

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Dici presepe e pensi a Pasqua. Sembra una frase buttata lì ma non lo è. Piano piano infatti, timidamente, si sta diffondendo l’abitudine e il gusto di rappresentare plasticamente i giorni della passione e morte di Cristo, fino alla grande gioia della Risurrezione. La tendenza non è ancora casalinga, nel senso che “Il Calvario” si trova poco nelle nostre abitazioni ma il fenomeno è in aumento.

Secondo i dati diffusi da Holyart, leader dell’e-commerce di articoli religiosi, nell’ultimo anno le vendite di presepi pasquali sono cresciute del 50% rispetto all’anno scorso. A comprarlo, nell’82% dei casi sono privati mentre sacerdoti e parrocchie rappresentano una minoranza. Circostanza che sembra suggerire un’attenzione da collezionisti oltreché di tipo devozionale legata alla pratica religiosa. I giorni che stiamo vivendo, oltre a essere i più importanti dell’anno per i cristiani, in effetti si prestano bene a un allestimento artistico o artigianale. Il problema semmai è come racchiudere in un’unica scena la Pasqua di Gesù e tutto quello che accade nei giorni che la preparano.

Solitamente il racconto inizia con l’Ultima Cena e la lavanda dei piedi cui seguono la preghiera nell’orto del Getsemani, l’arresto di Gesù, la flagellazione, l’incoronazione di spine fino alla crocifissione, la morte e la deposizione. Il finale è naturalmente la Risurrezione, che si presta a diverse raffigurazioni. C’è chi la riassume nell’immagine del sepolcro vuoto, chi sceglie il “noli me tangere” (non mi toccare) detto da Gesù a Maria Maddalena, chi conclude il suo presepe con un’immagine della Sindone, il telo conservato a Torino, che secondo la tradizione avrebbe avvolto il corpo di Cristo deposto dalla croce.

Questo intendendo il sacro lino come luce del Signore vincitore della morte che nella Sindone ci lascia la memoria del suo corpo martoriato. «Ecco come sono, guarda com’ero», si potrebbe riassumere. Il centro di questi allestimenti, la parte che più colpisce è tuttavia la sintesi della Passione.

Non a caso, se per il presepe di Natale si usa come sinonimo “la Natività”, qui si parla di “Calvario”. In entrambi i casi queste riproduzioni dovrebbero invitare alla riflessione e alla preghiera. Nella Lettera apostolica “Admirabile signum” papa Francesco scrive: «il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede».

L’indicazione può valere anche per l’allestimento pasquale, in cui sta racchiusa l’enormità, non ci sono aggettivi per definirlo, del dono di sé fatto da Cristo all’uomo. Nel contesto di giorni in cui la dimensione religiosa è schiacciata dalla corsa a colombe e uova di cioccolata, la “natività quaresimale” può essere un modo per interrogarsi sul senso più profondo del nostro stare al mondo. Alla luce, naturalmente, del Vangelo e del rapporto con Dio.

Un dato ben presente nei cultori di questa tradizione presepiale piuttosto diffusa anche da noi nell’XVIII e XIX secolo e poi andata scemando mentre resta piuttosto viva in Paesi come Austria e Germania. Nella Cattedrale tedesca di Bamberga, ad esempio, viene allestito un “Calvario” con ben 45 scene. Ma, ancora una volta, a essere importante non è tanto la grandezza dell’allestimento o il materiale in cui è realizzato. Conta di più l’atteggiamento con cui ci si accosta alle statuine. Se vengono considerate strumento di preghiera o unicamente oggetti artistici. «Fare il presepe a casa – ha detto papa Francesco all’udienza generale del 18 dicembre 2019 –, è come aprire la porta e dire: “Entra, Gesù!”, è fare concreta questa vicinanza, questo invito a Gesù perché venga nella nostra vita». Vale a Natale, può valere anche a Pasqua.




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