
Sfruttamento del lavoro minorile in una cava nei pressi di Bogotà, la capitale della Colombia - Ansa
Viviamo in un’epoca di cambiamenti non solo veloci, ma rapidi, capaci cioè di rapirci, sostiene Antonio Spadaro nell’articolo che ha aperto un dibattito ormai nutrito di numerosi contributi. E io mi chiedo: è veramente così, la Chiesa deve rispondere alla sfida con una teologia ugualmente rapida? E ancora: che significa questo in concreto per noi cristiani?
Partiamo dall’affermazione che adesso tutto cambia a un ritmo così frenetico da disorientarci. L’elenco dei motivi è lungo, conosciuto. Ci sono molte cose che stanno rivoluzionando il nostro modo di vivere.
Ma altre cose non cambiano affatto. Sembrano stabili, inamovibili, come il Gran Sasso. Ad esempio le disuguaglianze sociali ed economiche. Nel ponderoso saggio Il capitale nel XXI secolo Thomas Piketty dimostra, dati alla mano, che la distribuzione delle ricchezze oggi è simile a quella dell’Ottocento. Lustri di stato sociale in Occidente buttati via. Anzi, in termini etici, a dispetto delle conoscenze tecnologiche e delle enormi risorse finanziarie di cui disponiamo, il mondo peggiora. Scrive Oxfam: «Per la prima volta in 25 anni, la ricchezza estrema e la povertà estrema sono aumentate drasticamente e contemporaneamente». Tanto che «dal 2020 i cinque uomini più ricchi al mondo – Musk, Arnault, Bezos, Ellison e Buffet – hanno più che raddoppiato le proprie fortune, mentre la ricchezza complessiva di quasi cinque miliardi di persone più povere non ha mostrato barlume di crescita». Denaro e potere sono sempre più concentrati in poche mani con chiari pericoli per la democrazia, e con circa 750 milioni di individui che patiscono la fame.
Vediamo il giudizio finale su di noi, in Matteo 25. «Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?”». Sappiamo la risposta: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». E agli altri, le capre poste alla sua sinistra, Gesù dice: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato».
Papa Francesco non è un manicheo, né un giudice inflessibile, però credo che questo passo del Vangelo non lo dimentichi neppure per un attimo. Da un lato per lui c’è l’economia che uccide, dall’altro la Porta Santa che ha voluto aprire nel carcere di Rebibbia durante il Giubileo della Speranza. È un tema antico, l’amore per il prossimo. Ma anche su quelli più attuali, dall’intelligenza artificiale all’omosessualità, dalla pedofilia alla pace che va ricercata con ogni mezzo in Europa e altrove, Francesco si è espresso con chiarezza.
I grilli parlanti, gli azzeccagarbugli, sosterranno che è facile predicare. Che lui e i preti, che le anime belle spesso ignoranti di come gira il mondo, se ne stiano in chiesa o dovunque si trovino inginocchiati. Pensino allo spirito, al cielo. Le questioni concrete, che riguardano la Terra, vanno lasciate a chi se ne intende: ai finanzieri, ai politici, ai generali.
E invece no. La teologia a cui fa riferimento padre Spadaro, secondo me, è questa: bisogna gettarsi nelle acque agitate, nell’enorme rapida che travolge il mondo, per nuotare controcorrente. Nuotare non da soli, ma insieme alle donne e agli uomini di buona volontà, laici o ministri di qualsiasi culto, con lo scopo di raggiungere, costruire, luoghi dove regna la giustizia e la fratellanza.
I soliti noti affermeranno: ingenui, è un’utopia!
Ho lavorato per decenni in aziende. E all’epoca pensavo che un’idea era buona soltanto se realizzabile. Adesso penso che un’idea buona va perseguita a prescindere dal suo grado di realizzabilità.
Prendiamo un’idea a caso: tassare al 2% le ricchezze di un centinaio di miliardari, cominciando dai cinque paperoni prima menzionati. Così il problema della fame nel mondo sarebbe risolto. Non sono cifre buttate là, sono calcoli non troppo complessi basati su statistiche ufficiali. Perché di simili iniziative non se ne parla quasi mai?
Un motivo è ovvio: i mezzi di comunicazione sono controllati proprio da chi è ricco e potente. Ma questo non basta, esiste un fattore più pervasivo: la straordinaria capacità di sedurre del capitalismo. Sull’argomento Walter Benjamin ci ha lasciato, ormai un secolo fa, pagine straordinarie. C’è un altro suo breve saggio, Capitalismo come religione, che dovrebbe interrogarci e farci intuire le ragioni profonde di ciò che succede, oggi ancor più che nel 1921, quando il filosofo berlinese scrisse quel profetico frammento.
Dunque non è nemmeno sempre necessario credere a Gesù quando dice «se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spostati da qui a là” ed esso si sposterà». Per muovere, far tremare il Gran Sasso delle disuguaglianze bastano anche misure di carattere fiscale. O ritenere sbagliato che per difendere la pace l’unica scelta saggia sia una crescita delle spese militari, con parallela riduzione del budget destinato all’assistenza sociale.
L’universo capitalistico genera sentimenti di solitudine e di paura, su cui alcuni partiti e governi prosperano. I migranti diventano semplicemente invasori, chi non è dei nostri è un nemico e non importa se soffre. La globalizzazione, economica e culturale, insieme a diversi benefici, ha creato molti danni, bisogna riconoscerlo e non lasciare tali bandiere ai sovranisti. Tra questi danni c’è un’altra globalizzazione, quella dell’indifferenza, come l’ha definita papa Francesco.
Sembriamo persi dentro una società narcisistica, in cui reagiamo al senso di vuoto e di terrore che ci invade, con la cura ossessiva della nostra immagine, sbarazzandoci di ogni empatia per il prossimo.
Che fare? Non lo so.
Ma siamo in tanti a poter riflettere sulle strade che bisogna percorrere. Non è obbligatorio delegare la scelta di ogni idea a filosofi, esperti di economia, guru della scienza e della tecnica. Anche gli artisti possono immaginare nuove versioni del mondo, come dice Francesco. Nell’omelia di domenica 16 febbraio ha scritto: «Voi, artisti e persone di cultura, siete chiamati a essere testimoni della visione rivoluzionaria delle Beatitudini. La vostra missione è non solo di creare bellezza, ma di rivelare la verità, la bontà e la bellezza nascoste nelle pieghe della storia, di dare voce a chi non ha voce, di trasformare il dolore in speranza».
È un appello che non vale solo per scrittori e pittori, vale per tutti. Ascoltiamolo. Poi buttiamoci a capofitto in quella rapida che è certo vicino a ciascuno di noi, e che ci aspetta correndo e schiumando.
scrittore