Quando morì Giovanni Paolo II, il 2 aprile 2005, tutta la Chiesa e il mondo intero resero omaggio in vario modo al grande Papa che con il suo magistero e la sua persona aveva impresso un marchio profondo e indelebile a un’intera epoca. Nel diluvio di commenti, commemorazioni, analisi, prevaleva come è ovvio la rievocazione della grandezza "fuori misura" che aveva segnato il lungo papato wojtyliano sul piano storico oltre che ecclesiale. A "30Giorni", la rivista per la quale allora scrivevo, il direttore Giulio Andreotti ebbe l’idea di chiedere un breve ricordo del Papa polacco ai cardinali che stavano arrivando nell’Urbe per partecipare al Conclave. Io mi misi in contatto con il cardinale Jorge Mario Bergoglio, che ancora era a Buenos Aires. Gli sottoposi la richiesta e quando arrivò a Roma mi consegnò una paginetta scritta a mano. Mi disse che l’aveva compilata in aereo. Erano poche righe, ma molto eloquenti. L’arcivescovo argentino non si soffermava a descrivere i tratti esorbitanti della vicenda pubblica del pontificato appena concluso. Il suo breve ricordo era incentrato su di un particolare, intessuto di una trama più intima, tutta spirituale. Il cardinale Bergoglio iniziava ricordando una serata romana di tanti anni prima: «Se non ricordo male, era il 1985. Una sera andai a recitare il santo Rosario che guidava il Santo Padre. Lui stava davanti a tutti, in ginocchio. Il gruppo era numeroso; vedevo il Santo Padre di spalle e, a poco a poco, mi immersi nella preghiera. Non ero solo: pregavo in mezzo al popolo di Dio al quale appartenevamo io e tutti coloro che erano lì, guidati dal nostro Pastore. Nel mezzo della preghiera mi distrassi, guardando alla figura del Papa: la sua pietà, la sua devozione erano una testimonianza. E il tempo sfumò, e cominciai a immaginarmi il giovane sacerdote, il seminarista, il poeta, l’operaio, il bambino di Wadowice… nella stessa posizione in cui si trovava in quel momento, pregando Ave Maria dopo Ave Maria. La sua testimonianza mi colpì. Sentii che quell’uomo, scelto per guidare la Chiesa, ripercorreva un cammino fino alla sua Madre del cielo, un cammino iniziato fin dalla sua infanzia. E mi resi conto della densità che avevano le parole della Madre di Guadalupe a san Juan Diego: "Non temere, non sono forse tua madre?". Compresi la presenza di Maria nella vita del Papa. La testimonianza non si è persa in un istante. Da quella volta recito ogni giorno i quindici misteri del Rosario». Un respiro di preghiera, familiare all’ordito della condizione umana nella sua quotidianità. La comune devozione al Santo Rosario. Lo sguardo di tutti e due rivolto verso Maria, la madre di Gesù, a cui si rivolge quella che anche Paolo VI definiva «preghiera dei piccoli per cause grandi» e «rimedio d’immensi mali» che fa soffermarci «sui fatti operati dal Signore, fatti divini e umani, concreti, nostri». Sono queste le filigrane semplici e tenaci che uniscono il Papa venuto «di un Paese lontano» e quello trovato «quasi alla fine del mondo».