giovedì 17 settembre 2015
​Il vescovo di Novara: la sfida più grande è ripensare l'"iniziazione" della vita a due.
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​Il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, oltre che un profondo conoscitore della teologia e della pastorale familiare, è un uomo sereno e fiducioso. Guarda al dibattito sinodale che si aprirà tra pochi giorni con un senso di costruttiva serenità. Il suo sguardo sembra far capire: ce la faremo. Sarà complicato, ma ce la faremo. Sapremo armonizzare verità e misericordia, riusciremo ad innescare una circolarità intelligente tra dottrina e pastorale. E poi, suggerisce con quel suo sorriso, che non si capisce mai appieno quanto sia ironico e quanto finalizzato a scrutare le reazioni dell’interlocutore: «Nella Chiesa non ci sono due partiti, basta con questa storia dei progressisti e dei conservatori. Al Sinodo si saranno solo vescovi che cercheranno di ascoltare lo Spirito». E per quanto riguarda l’atteggiamento giusto in vista della discussione in Aula, non ha dubbi. Dovrà essere lo stesso di Paolo VI durante il Vaticano II, che promosse la comunione e riuscì a migliorare il lavoro dei padri conciliari.Tante aspettative, ma cosa c’è da attendersi concretamente dalle decisioni dei vescovi? Il Sinodo ha suscitato molte attese, per l’ampiezza dei temi trattati nella prima sessione straordinaria, come mostra la Relatio finalis e l’Instrumentum Laboris. Questo ha generato tanta speranza. Resta il compito di far cogliere il "roveto ardente" del prossimo Sinodo ordinario, uscendo dalla preoccupazione immediata per le decisioni concrete. Il punto focale sta nel risvegliare il "valore evangelizzante della famiglia per la Chiesa e per il mondo" con le sue implicazioni etiche ed esistenziali. Andiamo nel concreto. Che significa? Significa che la famiglia, pur con tutte le perturbazioni attuali, resta la sfida per la crescita della vita della Chiesa e della società. Una Chiesa senza famiglia perde la sua forza generativa e non riesce a dar volto concreto alla sua vita comunitaria. Una società che non supponga, protegga e faccia crescere la famiglia propone un’immagine di sé come somma di individui, tutti uguali, ma senza la ricchezza delle esperienze originarie (il rapporto uomo-donna, la relazione genitori e figli, i legami di amicizia, il "noi sociale" mediato dalla cultura e delle istituzioni, i corpi educativi e di volontariato). Queste soltanto forniscono il tessuto vivo che sviluppa la vita civile e la comunità politica.E questo che comporta per la vita ordinaria delle famiglie?Qui emerge il valore evangelizzante della famiglia. Esiste una reciprocità tra Chiesa e famiglia. In famiglia si trasmettono alle nuove generazioni tre esperienze umane decisive: la "fiducia fondamentale" della vita, il "senso di responsabilità" di fronte al futuro e l’"apertura al mondo" per la vita della società. Tre esperienze che predispongono la qualità antropologica della fede, della vocazione e della missione per la Chiesa; e forniscono alla società l’ordito dell’alleanza umana, della responsabilità sociale e del servizio alla comunità civile. La famiglia è così "soggetto" di evangelizzazione: perché realizza dentro di sé il rapporto tra Vangelo e società, e fra Chiesa e mondo. Quali aspetti problematici scorrendo l’Instrumentum laboris?A mio parere, sostanzialmente due: la difficoltà a costruire legami stabili e scelte definitive, ancorandole al mondo dei sentimenti e degli affetti; le incertezze diffuse che toccano la coscienza in rapporto alla polarità maschio e femmina. Di qui i grandi temi in discussione che riguardano le situazioni matrimoniali irregolari e le questioni poste dalle cosiddette teorie del gender. Entrambi manifestano difficoltà a trasmettere esperienze di vita buona tradotte nelle forme pratiche del vivere. Senza padri e madri, educatori e formatori, che trasmettano il senso buono della fedeltà e della dedizione nel tempo disteso, è difficile dar forma al nesso tra affetti, fede e sacramento, cioè al legame uomo-donna come "realtà umana e mistero di salvezza". Questi sono i due momenti da coordinare: il matrimonio nella prospettiva cristiana è il dono di un’incondizionata fedeltà proposto alla coscienza dell’uomo e della donna. Essa è dono e compito, non solo il compito di essere fedeli per sempre, ma ancor prima il dono per poterlo essere veramente. Nei confronti dei conviventi che hanno preso l’impegno di giungere al matrimonio sacramentale, "apprezzamento e amicizia". Come farlo nella verità?La "forma matura della libertà è la fedeltà": così ho detto ai fidanzati per oltre trent’anni preparandoli al matrimonio! Oggi sarebbe meglio prepararli al cammino comune di vita. Se come ha più volte richiamato prima papa Benedetto e ora papa Francesco, non si dà sacramento (del matrimonio) che nella fede cristiana, ciò non va subito inteso nel senso che il sacramento sarebbe "valido" solo così: e chi avrebbe il termometro per misurare la qualità buona e sufficiente della fede altrui?  Tra dono e compito non c’è automatismo, ma si spalanca l’arduo cammino della formazione degli affetti alla decisione di vita, a cui appartiene la fede. La grazia del dono sacramentale suppone, realizza e porta a pienezza la fede, talvolta incerta, dei futuri sposi. Qui siamo al cuore dello sforzo educativo: far crescere gli affetti perché diventino scelta di vita, accompagnare la scelta perché sia chiaramente segnata dalla fede cristiana. La scelta definitiva è possibile solo prestando credito all’altro, senza sottoporre alla prova la relazione con lui/lei. Il tema della convivenza esprime questo bisogno di "provare" e di fare "esperimenti". Però non si può "mettere alla prova" la libertà dell’altro. Occorre coltivare l’"esperienza" del dono della relazione, prestando credito (la fede) alla meraviglia dell’inizio (l’innamoramento), perché diventi vera nel cammino disteso della fedeltà (l’amore). Eros, amore e fede sono da tenere strettamente connessi. Questa è la scommessa della formazione con e per i futuri sposi!Ma i giovani hanno spesso paura di sposarsi. Come aiutare questo smarrimento?Questa paura non è più accompagnata dal contesto familiare ed ecclesiale e tantomeno sociale: la convivenza è un "grido" per trovare sul cammino un soccorso nell’arduo passaggio tra eros, alleanza d’amore e fede nel Signore. Un passaggio che deve essere sempre ripreso da capo. Per preparare il "punto di innesto" e il "luogo di crescita" del sacramento del matrimonio. Il matrimonio (come scelta e rito) è oggi più un punto di partenza che un traguardo. Quando due giovani vi approdano, occorre restare accanto ad essi. La Chiesa fa abbastanza?L’assenza della Chiesa in questo tempo è un segno preoccupante. Non è un caso che molti regolarizzino "al civile o in chiesa" il loro rapporto già in presenza del figlio: hanno bisogno quasi di un "segno-di-carne" per dar sicurezza ai loro sentimenti. La comunità cristiana deve essere presente prima, durante, ma soprattutto dopo la celebrazione delle nozze. Bisogna ripensare una vera "iniziazione" alla vita a due e alla famiglia: con forme attente ai primi 10-15 anni della vita matrimoniale, tenendo conto della dinamica del lavoro dei coniugi, della casa e dei figli. E con una grande tenerezza nei confronti della famiglia nascente. Qui sta la sfida pastorale maggiore: la Chiesa dev’essere presente quando nasce una nuova casa.Si è tanto parlato in questi mesi di misericordia e verità, quasi fossero due partiti contrapposti. Abbiamo esagerato?Non bisogna in alcun modo contrapporre misericordia e verità, né far prevalere l’una sull’altra. Così si maneggiano concetti astratti, dimenticando che trovano compimento nella storia di Gesù. Dice il Salmo: "Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno" (85,11). La misericordia, l’amore, la tenerezza devono realizzare la sinergia tra il dono di Dio e la libertà dell’uomo, tra il sacramento cristiano e la scelta umana. La verità sta nel loro incontro e ogni formulazione della verità e della norma, morale e canonica, diventa pastoralmente efficace se è al servizio della coscienza perché riscopra iscritta in se stessa la chiamata di Dio e accolga la promessa della sua grazia indefettibile. Se la Chiesa sarà capace di percorrere (nel Sinodo e nelle comunità cristiane) questa distanza né con l’atteggiamento di una legge ferrea, né con la superficialità di concessioni a buon prezzo, credo che si realizzerà quanto diceva Paolo VI: non c’è nessuna buona ragione di una parte che spiegata (e io aggiungo pregata e condivisa) non possa convincere anche l’altra parte. Al Sinodo non si tratta di part(it)i che scendono in campo, ma di Chiesa e vescovi che cercano di ascoltare lo Spirito. Così Paolo VI condusse a termine il Concilio e gli è stato persino imputato come volontà di unanimismo. Egli non solo promosse la comunione, ma molti testi ne uscirono assai arricchiti e luminosi!Via penitenziale per i divorziati risposati. La cosiddetta "oikonomia" potrebbe essere una buona strada?Entriamo qui nel campo delle questioni complesse che hanno suscitato molte attese, forse anche sproporzionate. Personalmente credo che questo sarà il frutto di un cammino di condivisione, nella misura in cui si converrà tra i sinodali sulla comprensione del quadro di fondo sopra delineato. Al Concilio avvenne così: per quasi due sessioni si maturò una coscienza comune (si approvarono solo due documenti!) da cui germinarono, pur nelle differenze legittime, le scelte del futuro. La via stretta andrà cercata non solo in una via media, ma in una "misura alta", in una circolarità virtuosa tra dottrina e pastorale. I percorsi d’integrazione delle famiglie dal cuore ferito potranno così trovare vie praticabili di partecipazione alla vita cristiana ed ecclesiale, in modo sempre più convincente. Nessuno può tirarsi indietro e non prendersi a cuore situazioni che ormai hanno raggiunto una forte massa critica.
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