«Dopo la lettera del dicastero vaticano ho subito scritto ai tre confratelli che siedono nel Consiglio dell’organizzazione che gestisce i nostri ospedali in Belgio. Al momento ho ricevuto una sola risposta, in linea con il magistero della Chiesa, ma sono fiducioso che la risposta complessiva sia nella linea indicata dalla Santa Sede». Padre René Stockman, superiore generale dei Fratelli della Carità, spera in una soluzione positiva della vicenda che ha visto l’organizzazione che gestisce gli ospedali della Congregazione dirsi favorevole, «in mancanza di un trattamento alternativo ragionevole», al ricorso all’eutanasia per i pazienti. Una decisione già contestata a suo tempo dalla Congregazione, ma che la scorsa settimana ha visto anche l’intervento del Papa attraverso il dicastero vaticano per gli Istituti di vita consacrata, con il quale si chiede di ritornare indietro su quella decisione.
Padre lei ha scritto a tre confratelli che siedono nel Consiglio dell’organizzazione che gestisce gli ospedali. Dunque non al Consiglio regionale della Congregazione?
Certamente, perché si tratta di due realtà diverse e distinte. Un conto è la Congregazione dei Fratelli della Carità che si trova in Belgio, un altro è l’Organizzazione che gestisce le strutture sanitarie. È un organismo nel quale sono presenti tre nostri confratelli, ma la maggioranza è composta da laici. Tra i consiglieri vi è anche Herman Van Rompuy, che è stato il primo presidente del Consiglio europeo.
L’apertura all’eutanasia nasce dunque all’interno di questo organismo?
Sì. Nonostante vi siano laici cattolici, in una realtà come quella belga vediamo avanzare una mentalità secolarizzata, nella quale la Dottrina della Chiesa per certi punti viene, ingiustamente, considerata quasi “superata”. La mia lettera è rivolta a tutti loro e spero che nella riunione che il Consiglio avrà l’11 settembre si ritorni nella linea indicata dal Vaticano.
Il Belgio è uno dei Paesi che permette il ricorso all’eutanasia. Ma una struttura ospedaliera cattolica belga è obbligata a particarla se richiesta?
La legge non prevede questo. Possiamo dire no alla pratica dell’eutanasia nelle nostre strutture.
Allora perché quella decisione?
Ribadisco che siamo davanti a un organismo composto per la stragrande maggioranza da laici e che le pressioni culturali, politiche e sociali legate alla secolarizzazione sono spesso molto forti anche in ambienti cattolici. Ma nella lettera che ho scritto ho anche ribadito quattro punti fermi su cui non si può trovare alcun compromesso.
Li può illustrare?
In primo luogo ribadire che il rispetto per la vita è un valore assoluto. Secondo che non si può indicare l’eutanasia come “soluzione” a un malato che sia senza prospettive di guarigione. Terzo: l’eutanasia non può essere considerata alla stregua di un atto medicale. Quarto e ultimo punto: l’eutanasia non può essere praticata negli ospedali che si dicono legati alla nostra Congregazione religiosa. Ne ho parlato anche con il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin e ha confermato che che su questi punti non si scende a compromessi.
Lei si è detto fiducioso in una risposta positiva dell’organizzazione. Ma se così non fosse? Il Vaticano ha ipotizzato anche la scomunica.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto bisogna precisare che viene meno non essendo la decisione presa dalla Congregazione. Diverso il tema dell’Organizzazione che gestisce questi ospedali. Se la risposta – ma spero e prego che non sia così – fosse negativa alle nostre sollecitazioni, temo che queste strutture non potranno in futuro più dirsi legate alla nostra Congregazione. Sarebbe l’unica, per quanto dolorosa, possibilità.
Intervista al superiore generale, padre René Stockman. «Pronti a lasciare quelle strutture»
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