Un invito a non separare mai la pena dalla possibilità della riconciliazione. E soprattutto il grazie per un servizio «delicato e prezioso». Anzi a suo modo «indispensabile». Sono appena tornati dall’udienza con il Papa i 150 cappellani delle carceri che partecipano al convegno nazionale su "Giustizia: pena o riconciliazione?". E a mezzogiorno in punto, nella Messa concelebrata con il cardinale Angelo Bagnasco, ne ascoltano le parole di incoraggiamento. «Il carcere è la vostra missione», afferma l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei nel corso dell’omelia, rispondendo anche al saluto del coordinatore nazionale don Virgilio Balducchi. Perciò, aggiunge, «a nome mio e dei vescovi italiani, vi dico grazie per il vostro delicato e prezioso servizio pastorale. Grazie perché questo servizio è indispensabile per il bene integrale delle persone che incontrate e perché nessuno in questa società fortemente individualista si senta abbandonato da Dio. Tutti anzi possano contare su un cuore di padre, che voi avete il compito, la vocazione e la grazia di esprimere e di rendere presente là dove siete».
Il porporato invita i cappellani ad essere ministri della grazia di Dio. «Soltanto la grazia può liberarci dalle nostre prigioni interiori e restituirci la libertà dei figli di Dio. E voi – prosegue – siete testimoni di questa possibilità quando avvertite che la grazia di Dio sta agendo nel cuore delle persone che incontrate e le sta aiutando a rinascere ad un modo nuovo di vedere stessi e gli altri e di considerare la vita». Questa è anche «la speranza e la gioia che sorregge il vostro impegno non facile – riconosce Bagnasco – per il contesto, per gli ambienti e per questo groviglio di umanità in cui Dio vi manda attraverso la Chiesa per essere una piccola lampada».
Riferendosi poi al Vangelo del giorno (la parabola del servo fedele che attende il ritorno del padrone), il presidente della Cei nota: «Perché questa missione squisitamente pastorale possa compiersi è necessario assumere l’atteggiamento del servo fidato e prudente di cui parla il Vangelo». Ogni cappellano carcerario, dunque «deve essere con tutto se stesso (ascolto, accoglienza, competenza e carità) il segno e lo strumento di una misericordiosa giustizia». «Contagiare gli altri con la speranza di Cristo non è né facile, né automatico – conclude il cardinale – ma è ciò che promuove la persona e la indirizza verso un progetto di vita buona e stabile, che sappia farsi carico del dopo carcere, laddove i pericoli, le insidie e lo scoraggiamento sono sempre presenti».