Papa Francesco durante la sua visita in Cile lo scorso gennaio (Epa)
«Non sono preoccupato. Al contrario. Vivo questo momento con immensa e profonda fiducia. Le riunioni di questi giorni apriranno tempi di Risurrezione e speranza». Monsignor Luis Infanti della Mora, vicario apostolico di Aysén, ha raggiunto Roma dal Cile dopo un viaggio rocambolesco, a causa dei ritardi nei voli. Giusto in tempo per la serie di incontri convocati da papa Francesco, fino a giovedì, con l’episcopato del Paese australe: i 31 pastori in carica e due emeriti.
«Tenendo conto di tutto questo, scrivo a voi per sollecitare umilmente la vostra collaborazione e assistenza nel discernimento delle misure che dovranno essere adottate a breve, medio e lungo termine per ripristinare la comunione ecclesiale in Cile, al fine di riparare per quanto possibile allo scandalo e ristabilire la giustizia», ha scritto il Pontefice nella lettera di invito dell’8 aprile scorso. Il “tutto questo” a cui Bergoglio si riferisce è la missione di Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, e Jordi Bertomeu, officiale della Congregazione per la dottrina della fede, alcune settimane dopo il viaggio in Cile del Papa. Obiettivo dei due “inviati speciali” della Santa Sede è stato a fare chiarezza sull’affaire Karadima-Barros. Fernando Karadima, parroco della comunità di El Bosque, è stato riconosciuto nel 2011 colpevole di numerosi abusi sui minori commessi negli anni Ottanta.
Il caso, però, è tutt’altro che chiuso, poiché molte delle vittime del sacerdote – tre delle quali, Carlos Cruz, James Hamilton e Andrés Murillo, sono state ricevute e ascoltate da Francesco a Santa Marta – hanno denunciato una rete di complicità, in primis da parte dell’attuale vescovo di Osorno, Juan Barros, per coprire i crimini di Karadima. Durante i giorni cileni, Francesco aveva sottolineato l’assenza “di prove” nei confronti del pastore nel mirino. Poi, però, già sul volo di ritorno si era detto disposto a cambiare idea in caso gli fossero state sottoposte “nuove evidenze”.
Poco dopo, l’avvio dell’indagine Scicluna- Bertomeu. «La vicenda Karadima-Barros è la più nota dal punto di vista mediatico ma purtroppo non è l’unica», afferma Infanti, udinese di nascita e cileno d’adozione. Partito nella nazione nel 1973, come seminarista dell’Ordine dei servi di Maria, ha vissuto sulla propria pelle i drammatici accadimenti sociopolitici e la complessa stagione ecclesiale che hanno segnato il Cile negli ultimi 45 anni.
«Ci sono stati numerosi episodi in cui dei consacrati sono stati coinvolti in abusi di potere, di coscienza e sessuali, anche con minorenni. Nonché, purtroppo, tentativi di insabbiamento da parte di alcune autorità ecclesiastiche. Il che ha prodotto una crisi di fiducia e di credibilità della Chiesa cilena», sottolinea il vicario apostolico di Aysén. In tale contesto, le riunioni con Francesco - al via da oggi dopo il pre-vertice di ieri -, «rappresentano un momento fraterno di discernimento, di preghiera, di decisioni condivise in modo che tutti possiamo assumerle con coraggio, disponibilità e responsabilità.
Questa è e dev’essere un’opportunità per essere una Chiesa di comunione, profetica, trasparente e credibile», afferma Infanti, da sempre in prima linea nella difesa della “casa comune” e dei popoli della Patagonia minacciati dalla fame mondiale di risorse, come raccontato nel libro Dacci oggi la nostra acqua quotidiana( Emi). Proprio “l’inedita modalità” del confronto collegiale tra Papa e vescovi, scelta da Francesco per affrontare una vicenda dolorosa e spinosa, per monsignor Infanti, «sarà di enorme beneficio per la conversione personale e collegiale della e nella Chiesa».
Il vescovo di Aysén non nasconde di avere sogni coraggiosi per il futuro. «Spero che si apra un tempo nuovo di maggiore partecipazione ecclesiale, in cui l’esercizio del potere sia più fraterno misericordioso, profetico, inculturato e decentralizzato», in modo da garantire la piena «valorizzazione del laicato e delle Chiese locali», al servizio di «una nuova evangelizzazione ».