Famiglie con le porte aperte. Famiglie capaci di portare nelle comunità e in tutti gli altri luoghi di vita luci di misericordia, di accoglienza, di vicinanza, di comprensione, di perdono. Famiglie che sanno andare oltre le ferite, quelle del cuore e quelle della vita. Così il presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, inquadra la celebrazione del Giubileo delle famiglie in programma domenica 27 gennaio, festa della Santa Famiglia di Nazareth.
È solo un caso che il primo grande avvenimento giubilare, dopo l’apertura della Porta Santa, sia dedicato alla famiglia, quasi in continuità con il Sinodo? No, certo. È non un caso neppure che l’ultima catechesi del mercoledì, quella dello scorso 18 novembre, prima di aprire la Porta Santa in Africa, il Papa abbia voluto dedicarla alla misericordia, sottolineando che nella Chiesa non debbono esserci porta blindate e quindi stabilendo un collegamento ideale tra la Porta della misericordia e le porte delle nostre famiglie.
Come dobbiamo leggere questa immagine? È un invito a vivere in una dimensione di accoglienza reciproca e misericordiosa che rende più umana la vita di tutti. Vorrei dire che Chiesa e famiglie debbono incontrarsi nella misericordia. È questo il senso profondo del Giubileo delle famiglie.
Perché nel giorno della Santa Famiglia? Non rischia di essere un’oleografia un po’ scontata? Tutt’altro. Riprendendo la simbologia della porta, si vuole sottolineare l’indispensabilità dell’incontro rispetto alla tentazione di chiudere gli spazi. La porta diventa cruciale in questo scorcio di millennio. La porta deve custodire, non respingere. Non dev’essere sfondata ma aperta frequentemente. In questo senso c’è come una nuova sensibilità da vivere, che scardina la paura e l’irrigidimento. Oltre alla tentazione di lasciare tutto così com’è. Allora, tornando alla Santa Famiglia, è bella l’immagine che l’allora cardinale Bergoglio usò nelle assemblee pre-Conclave, quando interpretò l’immagine dell’Apocalisse – “Io sto alla porta e busso” – come l’urgenza da parte di Gesù di voler aprire dall’interno le porte della Chiesa. È Gesù stesso insomma che spalanca le porte da dentro perché in tanti entrino nella luce della sua misericordia.
Santa Famiglia come esempio di scelta controcorrente... al di là di certi luoghi comuni. Sì, proprio l’esatto contrario di quello che una certa cultura del ri- piegamento continua a proporre.
Abbiamo accennato al Sinodo. In questo inizio di Anno giubilare che cosa recuperare di quelle indicazioni? Nella terza parte della Relazione finale si spinge la famiglia alla missione, ad uscire da se stessa per sconfiggere sentimentalismo e chiusure romantiche. Ad andare verso le famiglie prossime, verso chiunque abbia bisogno di sostegno e di aiuto. C’è quindi una dimensione missionaria della famiglia che il testo richiama come facente parte della vocazione stessa della famiglia. In questo senso dev’essere ritrovata un’alleanza tra famiglia e comunità cristiana molto più robusta di quella attuale.
Che cosa non va in particolare? Troppe famiglie sono poco aperte, potremmo dire poco “ecclesiali” e troppe comunità ecclesiali sono troppo burocratizzate, troppo clericali, quindi poco “familiari”.
Come declinare in famiglia il calendario della misericordia? Il richiamo del Papa all’accoglienza va indirizzato ad ogni parrocchia, ad ogni famiglia. Ecco, accogliere è un compito che nell’attuale congiuntura storica dev’essere scandito dalle opere di misericordia: dare da mangiare agli affamati, visitare i malati e i carcerati, accogliere gli stranieri, consolare gli afflitti. Siamo insomma invitati tutti ad imitare il Papa che nella sua diocesi di Roma, il 18 dicembre, aprirà la porta della mensa dei poveri. E ogni mese intende per primo passare da quella porta.
Come si svolgerà il Giubileo delle famiglie? Il Papa accoglierà le famiglie nella Basilica di San Pietro, che passeranno dalla Porta Santa partendo dal presepe al centro della piazza. Un po’ come un passaggio dal freddo e dal gelo di tante situazioni familiari per raccogliersi poi intorno all’altare della cattedra di Pietro. Le famiglie, provenienti da Roma ma non solo, si presenteranno nella loro situazione concreta: bambini, giovani, anziani. Ci saranno anche famiglie ferite. E vorremmo che questo schema si ripetesse in ogni diocesi del mondo. Si tratta del primo grande evento familiare dopo il Sinodo delle famiglie. Come a voler continuare, popolo e vescovo assieme, quell’esperienza sinodale, quel camminare insieme, che deve segnare la vita della Chiesa. Con questa scelta il Papa comincia in un certo modo a scrivere il nuovo testo sinodale – quello che culminerà poi con la presentazione dell’esortazione apostolica – camminando lui stesso insieme alle famiglie. Lui qui, a Roma, con il suo popolo. E, allo stesso modo, tutti vescovi del mondo, nelle rispettive comunità.