domenica 28 febbraio 2010
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«Nel 2008 i magistrati italiani mi dissero che non si poteva fare nulla perché mancavano i testimoni dei brogli. Ora quei testimoni ci sono». Teresa Todaro Restifa è sicura, ma la sua non è affatto una voce neutrale. È, infatti, la candidata "australiana" del PdL alla Camera che Marco Fedi ha sconfitto. Cerca, è ovvio, una rivincita. Ma dichiara di voler soprattutto combattere il metodo con cui viene applicato il diritto di voto agli italiani residenti all’estero. L’imprenditrice di Sydney sciorina numeri: «Com’è possibile – chiede al telefono dall’Australia – che si siano perse le tracce di 58.000 dei 97.000 plichi con le schede di voto spediti agli elettori italoaustraliani? E com’è possibile che durante lo scrutinio a me siano stati annullati migliaia e migliaia di voti?» Restifa accredita, insomma, le accuse contenute nel video visionato da Avvenire e in parte riversato su You Tube, che evoca brogli su larga scala in Australia, durante le elezioni politiche del 2006 e del 2008. E si becca una risposta secca: si tratta solo del «rilancio di falsità», s’indigna il senatore del Pd Nino Randazzo, al quale Avvenire aveva già dato la parola e che ieri ha detto la sua anche all’agenzia Asca, annunciando iniziative legali assieme al deputato Fedi, l’altro parlamentare nel mirino dei videoaccusatori. Azioni e reazioni, dice, «per fare chiarezza una volta per tutte». Anche Randazzo non ha dubbi però sul fatto che «il sistema va rivisto». Restifa, ovviamente, rilancia: «In altre parti del mondo, almeno, i plichi sono stati inviati agli elettori con lettera raccomandata. In Australia si è preferito un sistema meno complesso che si è trasformato in un colabrodo. E poi, troppe stranezze nei consolati. A Perth c’era gente che entrava e usciva di notte dagli uffici durante le elezioni; a Melbourne le cassette che raccoglievano le schede votate si riempivano senza che arrivasse il postino. Tutti sapevano». Proprio tutti, sostiene. «Il mio partito, il Pdl tace. Eppure – rivela – ho mandato una lettera riservata a Berlusconi. Non ho ricevuto alcuna risposta e temo che non gliel’abbiano neppure mostrata».Chi non si pronuncia sui brogli ma prende le distanze dai soggetti implicati nel kangoroo-gate è invece Giancarlo Martini Piovano, direttore del Coasit di Melbourne, indicato nel video-denuncia come una delle sedi in cui si sarebbero svolte le presunte operazioni («clandestine») di voto, nel corso delle quali sarebbero state addirittura compilate schede raccolte illegalmente in cambio della promessa di partecipare a viaggi premio in Italia e di altri non meglio precisati “favori”. Accuse rivolte contro Randazzo, Fedi e il consultore della Regione Lazio che finanzia i viaggi, Antonio Bentincontri. Tutti quanti, come abbiamo già scritto, si dichiarano estranei alle accuse e minacciano querele. Bentincontri e Fedi, per di più, hanno denunciato Maurizio Maietti, l’ex poliziotto di Melbourne che ha sollevato il caso. E un processo per diffamazione, contro un giornalista che ha realizzato un precedente servizio sulla vicenda, potrebbe aprirsi a Roma all’inizio di aprile, fa sapere l’avvocato Gian Michele Gentile che assiste Fedi e Randazzo. La polizia dello Stato di Victoria, invece, starebbe indagando sugli eventuali aspetti finanziari della vicenda. Un guazzabuglio italo-asutraliano, insomma. E, comunque si mettano indagini e processi in corso, una catena di di scandalose ombre sul tanto a lungo sospirato voto dei nostri emigranti.Ma ecco cosa dice il direttore del Coasit: «Siamo una onlus che si occupa di assistenza agli immigrati e di educazione, principalmente insegnamento della lingua italiana. Per questa nostra attività siamo finanziati dal governo australiano (sette milioni di dollari all’anno) e dal governo italiano (640.000 euro per insegnare l’italiano a 190.000 studenti). Dalla Regione Lazio riceviamo ventimila euro all’anno per insegnare l’italiano ai discendenti degli immigrati laziali. Ciò detto, non c’entriamo nulla con Bentincontri e con le associazioni degli immigrati». Sottolinea ancora Martini Piovano: «Fedi e Randazzo hanno affittato la nostra sede solo per raccogliere le firme per presentare le liste. È avvenuto in un periodo diverso da quello delle accuse ed erano presenti i funzionari consolari. Tutto trasparente, come sempre: ci hanno pagato l’affitto: 200 dollari australiani».
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